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mercoledì 29 gennaio 2025

ANTISEMITISMO




 

Il termine "antisemitismo" venne coniato nel settembre 1879, a Berlino, in Germania, da parte del nazionalista Wilhelm Marr, nello scritto La strada verso la vittoria del Germanismo sul Giudaismo, da una prospettiva aconfessionale, come eufemismo di Judenhass («odio per gli ebrei»): nonostante l'etimologia, esso non si riferisce all'odio nei confronti dei "popoli semiti" (cioè quelli che parlano lingue appartenenti al gruppo semitico, quali l'arabo, l'ebraico, l'aramaico e l'amarico), ma unicamente all'odio e alla discriminazione nei confronti degli ebrei. Il concetto espresso da Marr, che nei suoi scritti successivi verrà visto come un errore e ritrattato, nel secolo successivo assumerà valenze diverse, più ampie e coinciderà spesso con la definizione degli atteggiamenti persecutori, tra i più gravi della storia contemporanea.

In Italia

Si hanno tracce di antisemitismo sin dall'epoca romana, in particolare nelle "Historiae" di Tacito è presente una digressione sugli usi e costumi del popolo ebraico, dove l'autore latino esprime con disprezzo la diffidenza del pagano colto nei confronti di un popolo di cui fraintende volutamente le usanze e la religione, incentrata sul culto di un unico dio.

Anche in Italia l'antisemitismo è stato secolare; per esempio nel Medioevo i giudei furono più volte espulsi dal Regno di Napoli e, dove erano invece accettati, erano considerati con diffidenza. Nel 1493 il governatore veneziano di Corfù, essendo arrivata nell'isola una nave carica di giudei scacciati appunto dal Regno di Napoli e poiché quei profughi chiedevano di stabilirsi nell'isola, chiese istruzioni al Senato di Venezia; gli fu risposto che li accettasse purché s'impegnassero di rinunziare alla pratica dell'usura. Il più antico documento italiano di cui ci sia rimasta notizia a proposito dell'obbligo per i giudei di mostrare un contrassegno giallo cucito sul petto, è il seguente bando milanese del 31 agosto 1473:

MCCCCLXXIII, DIE ULTIMO AUGUSTI, MEDIOLANI PROCLAMATUM EST UT INFRA. Per parte et comandamento de li spettabili e generosi Maestri dell'intrate del nostro ill. Principe, et excell. Signor Duca, Galeazzo Maria Sforza Vesconte ecc. – (la cui ill. Signoria el summo Iddio accreschi e mantenga longamente in stato felice). – In executione de lettere de sua Excellentia, date a Cropello a dì 27 del mese presente, et signate A. Iacobus, per le quale vuole sua Celsitudine, como convene al vero e christianissimo Principe, che nel dominio suo siano distincti et cognosciuti li Hebrey da li Christiani, como etiam è usato in altri paesi de' Christiani; per la presente crida, la quale habeat vim decreti ducalis, se ordina et se comanda ad caduno como se voglii Hebreo, che deba portare uno O gialdo nel pecto per segnale, et de tal forma e grandezza, ch'ello sia distintamente cognosciuto da Christiani, et se gli dà termine quindeci dì proximi a venire ad mettersi detto signale nel petto. Li quali quindeci giorni proximi passati che saranno, qualunque di essi Hebrei serà da può trovati senza dicto O gialdo nel pecto apertamente, come è predicto, debbia incorrere in la pena de tracti quattro di corda, e de pagare ducati mille d'oro da ser applicati alla camera ducale irremissibilmente. Signat. GABRIEL. (Carlo Sgorbio, Codice visconteo-sforzesco ecc. P. 418. Milano, 1846.)


Seppur anticipato da alcune sporadiche dichiarazioni di esponenti del regime, l'antisemitismo dell'Italia fascista incomincia ufficialmente il 14 luglio 1938 con la pubblicazione del Manifesto della razza ed è preceduto dalla venuta di Hitler in Italia, dal 3 al 9 maggio. Due mesi dopo la visita in Italia del Führer, viene pubblicato il Manifesto redatto quasi tutto da Mussolini, ma sottoscritto da un gruppo di scienziati. Tra questi Nicola Pende che risultò dai giornali dell'epoca tra i firmatari del Manifesto ma venne assolto in un processo postbellico per non aver mai aderito alle posizioni degli scienziati razzisti.

I giornali aprono subito una campagna antisemita: esce La difesa della razza diretta da Telesio Interlandi, che ha come segretario di redazione Giorgio Almirante. La razza di riferimento è la razza ariana.

A partire dal 5 settembre 1938, una serie di disposizioni legislative, le cosiddette "leggi razziali", introducono una serie di pesanti discriminazioni nei confronti degli ebrei, che, tra l'altro, vengono espulsi da ogni incarico nella pubblica amministrazione (e quindi anche dall'insegnamento nelle scuole e nelle università), e non possono accedere ad alcune professioni come quella di notaio e di giornalista.

L'antisemitismo italiano, al contrario di quello tedesco (basato su pregiudizi razziali/biologici/sessuali), aveva una forte componente religiosa/spirituale: tendeva cioè, almeno nelle intenzioni iniziali di alcuni dei suoi padri (tra cui diversi religiosi cattolici), a discriminare principalmente gli ebrei non convertiti. Lo stesso Mussolini elaborò lo slogan "Discriminare e non perseguitare" per indicare la filosofia che, secondo la versione data dal regime, sarebbe stata adottata nell'applicazione delle leggi razziali e, in un discorso tenuto a Trieste nel settembre 1938, affermò esplicitamente che "gli ebrei che hanno indiscutibili titoli di benemerenze militari e civili troveranno la giusta comprensione del Regime. Questo esplicitare un distinguo rispetto all'ondata antisemita "biologica" europea, era probabilmente dovuto, tra le altre cose, al tentativo di rassicurare quella parte degli ebrei italiani (soprattutto tra le classi più benestanti) che fino ad allora avevano appoggiato prima il movimento fascista e poi la dittatura.

Con l'avvento della Repubblica Sociale Italiana questa distinzione tra antiebraismo spirituale e antiebraismo biologico venne completamente a cadere, e gli ebrei italiani vennero perseguitati alla pari di quelli tedeschi....continua https://it.wikipedia.org/wiki/Antisemitismo

                           



Tarcento, nasce l’Ospedale di comunità

 

In copertina, l’assessore regionale Riccardi (al centro) durante la firma dell’atto che dà avvio al servizio sanitario

 «Il documento sottoscritto nella giornata di oggi presso l’Asp “Opera Pia Coianiz” di Tarcento, che prevede l’attivazione di un modulo dell’Ospedale di comunità a partire dal prossimo 1 febbraio, rappresenta un traguardo importante, nella pratica e simbolicamente. È il risultato di un lavoro di squadra, frutto di un percorso condiviso, che vuole rispondere alle reali necessità della cittadinanza, in seno a una progettualità centrata sull’integrazione socio-sanitaria. Con la sottoscrizione di oggi raggiungiamo un obiettivo strategico, di grande portata: è a questi target che puntiamo, su cui lavoriamo, nella certezza di aver intrapreso il percorso più corretto per adeguare il nostro sistema sanitario alle nuove condizioni demografiche e di salute della popolazione». Sono le parole dell’assessore alla Salute del Friuli Venezia Giulia, Riccardo Riccardi, che ieri mattina è intervenuto, negli spazi dell’Azienda pubblica per i servizi alla persona, dove il presidente della stessa Asp, Giovanni Zuccolo, e il direttore generale dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale, Denis Caporale, hanno firmato l’accordo per l’attivazione dell’Ospedale di comunità all’interno della Coianiz. Presenti anche il sindaco di Tarcento, Mauro Steccati, il pievano di San Pietro Apostolo, monsignor Luca Calligaro, e i componenti del consiglio direttivo dell’Asp.

«Si tratta del primo esempio del nuovo modello organizzativo sul territorio dell’Asufcc – ha ricordato l’esponente della Giunta Fedriga, come informa una nota Arc -. Dispone di 20 posti letto dedicati, in linea con la programmazione sanitaria regionale e dell’Azienda sanitaria. L’Ospedale di comunità nasce per dare una soluzione concreta alle persone che, a seguito di un episodio di acuzie o per la riacutizzazione di patologie croniche, necessitano di interventi sanitari a bassa intensità. La cronicità è uno dei temi del nostro tempo, per ragioni di età e di lunghezza della vita, oltre che per la percentuale elevata di comunità anziana del Friuli Venezia Giulia, ormai prima regione in Italia in questo senso».
L’assessore Riccardi ha sottolineato come il raggiungimento di questo traguardo sia stato possibile grazie alla concreta collaborazione dei diversi soggetti coinvolti in questa primissima sperimentazione, che tra l’altro consentirà di verificare nella pratica anche le linee guida legate agli Ospedali di comunità. «L’operatività sinergica, lontana da sterili polemiche, che guarda al bene comune del cittadino, in un momento storico non semplice, è determinante per poter adeguare un sistema ormai obsoleto, che necessita di urgenti revisioni. Peraltro, per Tarcento abbiamo investito risorse ingenti, per l’implementazione del Distretto sanitario». continua ....

https://friulivg.it/2025/01/29/tarcento-nasce-lospedale-di-comunita-allopera-pia-coianiz-con-20-posti-letto-a-favore-del-distretto-torre-sabato-il-via/?fbclid=IwY2xjawIG_GhleHRuA2FlbQIxMQABHWhPqnKUpzs1lawysT9wcXHUA2DUZZ-Jlk7zRvpbzezRPMjrmkMubpBgfw_aem_4iCCoi1m6qGElet6xEA2wA



lunedì 27 gennaio 2025

Il blog di Andrea: La liberazione di Auschwitz

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Per non dimenticare

LA FARFALLA IMPAZZITA

 L’ultima, proprio l’ultima,

di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla!

L’ultima
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto: i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere del castagno
nel cortile.
Ma qui non ho visto nessuna farfalla.
Quella dell’altra volta fu l’ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.

 Pavel Friedman

fonte web

 


CRONACA





TRIESTE


PIAZZA UNITA'
Avevano lasciato Khan Yunis, città nel sud di Gaza, lo scorso aprile ed erano fuggiti verso l'Egitto. Weam, 20 anni, era incinta di nove mesi.La sua primogenita, Giulia, era gravemente malata e necessitava di cure. Lei e la bimba erano quindi riuscite a partire per raggiungere Trieste, mentre il marito Muhammad, 28 anni, era rimasto in Egitto. A distanza di 9 mesi oggi Muhammad ha potuto riabbracciare Weam e Giulia e conoscere anche la piccola Maya, nata il giorno dopo l'arrivo di Weam a Trieste. 
Ci sono voluti nove mesi per il ricongiungimento familiare di Muhammad con la famiglia, del quale si è occupata la Comunità di Sant'Egidio.
fonte web


Nonino ha fondato il Premio Internazionale Nonino, nato per premiare e conservare le tradizioni friulane, ma che si è trasformato in un prestigioso premio letterario. Il premio è stato fondato nel 1975.

Cinquant’anni di Premio Nonino, ecco chi ha vinto l'edizione 2025

I quattro vincitori, decisi dalla giuria, verranno premiati Distillerie Nonino a Ronchi di Percoto, sabato 25 gennaio 2025 


Cinquant’anni di Premio Nonino, ecco chi ha vinto l'edizione 2025

© UdineToday


  • Nonino è un'azienda distillatrice e produttrice di grappe italiana fondata nel 1897 nel Friuli Venezia Giulia.

  • domenica 26 gennaio 2025

    I FRIULANI



    I friulani sono un popolo che vive in Friuli ecco alcune caratteristiche

    gran lavoratori (una volta perchè oggi i giovani aspettano la manna dal cielo come ovunque)

    diffidenti,ma se ti conoscono danno anche l'anima

    generosi,individualisti e introversi

    decisi , testardi




    Un friulano non si ferma quando è stanco...
    Si ferma quando ha finito!


    PROVERBI(da wikipedia)

    Al fàle àncje il predi sul altâr.
    Sbaglia anche il prete sull’altare.

    Prime di dî di nò, viôt se tu pûs dî di sì, prime di dî di sì, pense sôre une dì.
    Prima di dire di no, vedi se puoi dire di sì, prima di dire di sì, pensaci sopra un dì.

    Une buine mâri e val plui di cent maestris!
    Una buona madre vale più di cento maestre!

    Al è lari tant cui ch’al robe, che cui ch’al ten il sac.
    È ladro tanto chi ruba quanto chi tiene il sacco.

    A l’è inutil insegnà al mus, si piart tiemp, in plui, si infastidis la bestie.
    E’ inutile insegnare all’asino, si perde tempo e in più si innervosisce la bestia.

    Mandi a ducj!!!


    I krafi di nonna Chiara

     


    Ingredienti: castagne lessate e passate come elemento principale, pane grattato e biscotti secchi abbrustoliti nel burro, fichi secchi, prugne secche, uvetta ammollata nel ruhm, cioccolato fondente grattugiato, amaretti, grappa, pinoli, mandorle e nocciole pestati (in realtà la frutta secca è a gusto e non troppa) poco zucchero, miele.

     Si cuoce brevemente in pentola antiaderente il composto e lo si fa riposare affinché i vari gusti si amalgamino e si riconoscano. Poi si riscalda e si assaggia ripetendo l' operazione fino al raggiungimento del sapore caratteristico. Si prepara la pasta che io faccio così (variando un po' quella di mia nonna perché rimane più morbida).

     impasto 500gr farina forte con 250 gr di acqua tiepida, una nocina di burro e 3 gr. lievito birra fresco. Riposo una notte in frigo e un' oretta ambiente; stendo la pasta circa 3 mm. Con la farcia, detta pistum, formo cilindri di circa 7cm di lunghezza per un po' meno di 3 cm di diametro. La chiusura è particolare e andrebbe vista. Ogni kref viene bollito per qualche minuto in acqua leggermente salata.

    ricetta di Prosnid/Prossenicco

    da FB

    BUON APPETITO/DOBER TEK!!!

    Il campo di concentramento e il sacrario di Gonars (Giornata della memor...

    sabato 25 gennaio 2025

    Giulio Regeni: a 9 anni dal suo omicidio, la ricerca di verità e giustizia continua

     


    Sono trascorsi nove anni da quando Giulio Regeni, un ricercatore italiano di 28 anni, è stato brutalmente ucciso in Egitto. Il suo corpo senza vita fu ritrovato il 3 febbraio 2016, ai margini di una strada del Cairo, con evidenti segni di tortura.


    Da quel giorno, la sua famiglia e gli amici non si sono mai arresi nella ricerca di verità e giustizia. La loro richiesta è semplice: chi ha ucciso Giulio e perché?

    Le indagini sull'omicidio di Regeni sono state lunghe e complesse. La procura di Roma ha aperto un fascicolo per omicidio e tortura, contestando il coinvolgimento di alcuni esponenti dei servizi segreti egiziani.

    A nove anni di distanza, la ricerca di verità e giustizia per Giulio Regeni è ancora in corso. È importante non dimenticare questo caso e continuare a chiedere che i responsabili siano individuati.




    Web sul blog: La sfida cinematografica: scegli il tuo film prefe...

    Web sul blog: La sfida cinematografica: scegli il tuo film prefe...: Invito a scegliere il vostro film preferito, tra questi cinque del sondaggio; inoltre voglio ricordare a tutti, che si può esprimere una sol...

    Ogni merlo è un merlo | Storie per spiegare la Shoah ai bambini

    Libro di Frediano Sessi

     

    Vita di Laura Geiringer sopravvisuta ad Auschwitz

    Sinossi

    Il giorno e l'ora della liberazione dai campi di concentramento vengono spesso raccontati e rappresentati come un ritorno alla vita e la fine di atroci sofferenze. Non è stato così per molti dei prigionieri dei Lager, tanto meno per le poche donne scampate all'orrore. E non è stato così per Laura Geiringer, unica sopravvissuta della sua famiglia, tornata a casa con la consapevolezza di dover impiegare tutte le sue forze per ricominciare a vivere. La vergogna e il disgusto per quanto subito la spingono a tacere: chi le crederebbe? A chi parlare dei tremendi esperimenti che il professor Carl Clauberg conduceva sui corpi delle donne ad Auschwitz? Chi non aveva esperienza del Lager non poteva capire, forse non sarebbe nemmeno riuscito ad ascoltare. Unico sfogo per sfuggire al ricordo delle abiezioni di Birkenau è il diario di memorie a cui affida i suoi pensieri. Grazie a quelle parole, a nuovi documenti e a testimonianze inedite, Frediano Sessi ricostruisce la tragica storia di Laura e della sua famiglia, dalla serenità dell'infanzia all'ignominia delle leggi razziali; dalla tentata fuga a Gruaro alla detenzione a Venezia; dal tragico trasferimento ad Auschwitz sul medesimo convoglio di Primo Levi al tentativo di riprendere, dopo la liberazione, un'impossibile normalità. Accanto alle storie sia degli aguzzini sia delle compagne che con lei hanno condiviso torture e vessazioni, emerge con forza in queste pagine il desiderio di resistere con ogni mezzo a quel male assoluto.

    • ISBN: 8829789003
    • Casa Editrice: Marsilio
    • Pagine: 208
    • Data di uscita: 17-01-2025

    giovedì 23 gennaio 2025

    APROFONDIMENTO

     


    Vietato fotografare Approfondimento

    Negli anni Sessanta le strade del Friuli erano ancora accompagnate da minacciosi avvisi "Vietato fotografare". Alle servitù e ai cartelli materiali giustificati da presunte ragioni militari si aggiungevano divieti mentali non meno pervasivi, a tutela di confini guardiati con anche maggior cura. C'era un Friuli che non doveva essere mostrato: soggetti tabù, immagini da non divulgare, aspetti che era meglio nascondere sotto le pieghe. Resta esemplare la reazione del Messaggero Veneto al manifesto del "Gruppo friulano per una nuova fotografia", diffuso il 1 dicembre 1955 dai giovani spilimberghesi desiderosi di importare qui, in un Friuli provinciale e conformista, la lezione di "una fotografia asciutta", che andasse "diritta al nome delle cose". Arturo Manzano, autorevole critico d'arte, certo del plauso dei lettori, poteva ironizzare con titolo e sottotitolo: "Infelice annuncio dell'avvento di una "nuova fotografia". La presunzione al posto della conoscenza dei fatti e del doveroso rispetto delle persone".

    I cartelli, quelli materiali e gli altri, pesavano soprattutto sul Friuli marginale; e come negli anni Cinquanta ci fu la protesta benpensante e cittadina contro le immagini "asciutte" che svelavano le valli prealpine del Friuli occidentale, così una decina di anni dopo toccò alle immagini delle Valli del Natisone di Riccardo Toffoletti. I due contesti erano egualmente problematici, antropologicamente "densi" per le caratteristiche di diversità e specificità, segnati da una condizione strutturale - economica e demografica - che li faceva pensare giunti al capolinea, in attesa del colpo finale.
    Invece sono ancora là. Restano contesti non meno problematici di allora, così che la riproposta di immagini di quattro decenni fa non ha nulla di nostalgico o di artificioso; ma alle vecchie questioni non risolte se ne è aggiunta una nuova, ed è quella rappresentata proprio dal loro resistere: l'ostinata volontà di continuare ad esserci e a contare, nonostante tutto, con le proprie caratteristiche peculiari.
    Fotoreportage definiva 40 anni fa Toffoletti il suo lavoro. L'indicazione del 'genere' chiariva di per sé la scelta di fotografare e proporre al pubblico un problema, non un ambiente caratteristico, con i suoi personaggi, non un paesaggio tipico; già la definizione affermava il legame con la tradizione fotografica impegnata e rinnovata, che fra i suoi propositi aveva la scelta di dar voce ai mondi marginali e subalterni. "Persone e non personaggi", diceva uno slogan. E siccome, a differenza dei personaggi che recitano copioni altrui, le persone parlano di sé e per sé, ecco che la fotografia diventava operazione complessa e richiedeva non solo scatti, ma anche ascolto e dialogo, anche osservazione partecipante, come si direbbe in antropologia. Da qui la scelta conseguente di utilizzare come didascalie proprio spezzoni di dialogo colti dal vivo: frasi capaci di esprimere dall'interno le diverse sfaccettature del problema rappresentato dalla situazione in cui versavano le Valli del Natisone.
    Una didascalia mi ha colpito particolarmente; è una frase colta da Toffoletti a Mersino, interessante già dal punto di vista linguistico per lo sforzo di traduzione che rivela dal dialetto in lingua, ma forte come un macigno perché ha a che fare con la dignità e tocca proprio quella questione della "resistenza" che giustifica 40 anni dopo la riproposta delle immagini di allora e del dibattito che ne derivò: "A me non mi dice nessuno lei, così io non ci ho nessun rispetto anche di nessuno, perché tutti mi chiamano tu. Un rispetto deve avere anche altri di me! Ci vorrebbe più soldi e più rispetto".
    Anche in Friuli il Novecento è stato il secolo che ha visto costituirsi in maniera vigorosa, e a contrasto con un folklorismo di maniera sempre risorgente, l'intreccio complesso e obbligato fra una etnologia fatta di parole e una etnologia fatta di immagini. Non c'è ambito dell'etnografia regionale che possa prescindere dai corredi fotografici, talvolta in maniera diretta e privilegiata (le forme dell'insediamento, l'architettura tradizionale, gli arredi interni, i saperi tradizionali e gli strumenti di lavoro, le forme della socialità e della ritualità comunitaria), in altri ambiti in maniera più complessa. Lo si vede bene ora, dopo che negli ultimi anni si è sviluppato un intenso lavoro di inventario, catalogazione e riproposta di fondi fotografici: strumenti indispensabili per una fondata e perfino sofisticata descrizione etnografica, capace di cogliere le specificità interne e i processi di trasformazione che nel corso del Novecento hanno determinato la messa ai margini del genere di vita tradizionale.
    Ma oltre l'etnografia? Lavorando alcuni anni fa proprio nel Cividalese e cogliendo dalla voce dei protagonisti il durissimo prezzo pagato per passare dai campi ai cementifici locali fotografati da Toffoletti nel loro desolato abbandono, l'antropologo Douglas R. Holmes scriveva: "Per chi viene da fuori, italiano o straniero, il Friuli" - e al suo interno la Benecia tanto più - "è una zona non molto nota, e nemmeno è stata spesso meta di antropologi. Non sono stati ancora formulati interrogativi antropologici per affrontare il suo ingannevole carattere" (Disincanti culturali. Contadini-operai in Friuli, 1991). E' vero; ma buoni interrogativi antropologici intorno al "carattere ingannevole" vengono indirettamente formulati proprio da fotografie come queste, interessate meno ai paesaggi, ai mestieri, agli oggetti e alle forme tipiche, e più ai problemi. Fotografie non reticenti, proposte sapendo di toccare nervi scoperti e di violare il tabù imposto dal "Vietato fotografare", sapendo di attirarsi l'accusa di parzialità.
    Mi è difficile oggi decifrare completamente la natura originaria dell'operazione. In quel 1968, probabilmente, era più forte di quanto non possa essere oggi l'illusione di riuscire a far parlare attraverso le immagini una realtà oggettiva. Ma anche allora la natura stessa del fotografare, fatta di scelte, non poteva che lasciare fra le mani la consapevolezza delle tante selezioni messe in atto e la coscienza del peso della soggettività all'interno del proprio lavoro di fotografo, anche quando voleva essere di polemica documentazione. Il "realismo ingenuo" era semmai di altri, meno consapevoli che basta cambiare punto di vista e inquadratura per mutare il significato; altri che pretendevano una fotografia "utilizzata anziché come illustrazione, come documentazione assoluta di una realtà, necessaria e oggettiva alla stregua di una tavola di risultati statistici". Trovo l'affermazione nell'anomalo e provocatorio catalogo che accompagnava, nel novembre di quel 1968, la presentazione del fotoreportage di Toffoletti a Udine, nella Galleria del Centro.
    A incorniciare alcune delle foto, in quel catalogo sta infatti un singolare Rapporto antropogeografico firmato dall'architetto Giovanni Pietro Nimis. Leggendolo, si capisce come - miscelato alle fotografie - abbia potuto innescare un dibattito dai toni accesi, di cui fortunatamente resta traccia scritta. Episodio interessante, e non secondario, del Sessantotto udinese. Sullo sfondo di immagini asciutte e di didascalie cariche di interrogativi impliciti ed espliciti (basterebbe il confronto con il ricco e articolato repertorio di fotografie delle Valli di Mario Magajna, in quello stesso periodo), il Rapporto di Nimis aggiungeva benzina al falò: un breve profilo storico, la scelta di Savogna come comune-campione a cui riferire una batteria impietosa di tavole statistiche relative alle variabili demografiche, una proposta di soluzione ancora più impietosa delle tabelle.
    A leggere quelle pagine oggi, 40 anni dopo, non si capisce bene se si tratta di un'analisi-proposta seria, pensata e formulata in termini realistici, o non piuttosto di una provocazione giocata sul paradosso, come un pamphlet settecentesco carico di ironia nei confronti della supponenza efficientista e arrogante della political arithmetic: il Mandeville della Modesta difesa delle pubbliche case di piacere, o meglio ancora lo Swift della Modest Proposal, con il suggerimento di risolvere il problema della fame delle famiglie d'Irlanda con la trasformazione in cibo dei figli bastardi. Là il problema dell'incremento demografico a fronte della fissità delle risorse, qui il fenomeno opposto di un drammatico decremento demografico giudicato irreversibile: con la proposta - seria, temo - di uno "spopolamento organizzato", di una eutanasia programmata, luciferinamente razionale. Soluzione ideale? Intervenire col bisturi, disgiungendo: che finalmente si separino montagna e montanari; che i montanari residui vengano fatti arretrare con decisione sulla linea di pedemontana, a Cividale e dintorni, così da ricavarne quel che ancora si può di utile e garantire servizi altrimenti impossibili; che l'ambiente così liberato dalle servitù di una comunità umana comunque segnata, venga riorganizzato in funzione del bisogno di natura e del loisir cittadino: paesi che si fanno villaggio turistico, l'ambiente che si trasforma in parco, e quant'altro.
    Si capisce la reazione preoccupata, fra gli abitanti delle Valli, di quanti pur sottoscrivendo la crudezza dell'analisi e le imputazioni di colpa, si battevano perché i paesi delle Valli continuassero a esistere e fiorire. Nella trascrizione del dibattito udinese di quell'inverno del Sessantotto, le righe più belle che leggo sono di Paolo Petricig: là dove, giocando sul filo dell'ironia, afferma che quello di Nimis era sì "un importante contributo", ma solo "fino alla penultima pagina".
    A ben pensare, quattro decenni dopo la situazione non è molto cambiata, almeno in termini di dibattito. In mezzo restano le foto, a testimoniare la perdurante gravità dei problemi e il difficile processo che dovrebbe permettere di tenere i piedi nella modernità senza trovarsi spinti ancora di più verso i margini; su un lato continua a collocarsi lo sguardo lucido e impietoso dell'efficientismo economico e tecnico esterno (con i piedi ben saldi nella palude della indecisione politica); sull'altro resta lo "sguardo interno" altrettanto lucido, ma pietoso, di chi non è disponibile a procedere per disgiunzioni, ma crede invece e chiede maggior attenzione alle correlazioni fra i tanti fattori in gioco. Non si tratta soltanto di tabelle, elenchi di dati, numeri; ma persone, relazioni fra persone all'interno delle comunità e fra comunità e ambiente, memorie, paesaggio, saperi, narrazioni, lingua, musica, arte, inventiva, sapori, sensibilità religiosa, e tanto altro ancora.
    Mutata è la situazione di contesto più larga. Chiudendo il bel volume del 2001, edito per sua cura dalla Cooperativa Lipa (Valli del Natisone - Nediške doline), dedicato proprio a una riproposta globale della storia e cultura della Valli nel segno del rifiuto delle disgiunzioni e dell'attenzione invece ai legami, ancora Paolo Petricig richiamava le novità più significative. Se l'episodio del '68 si collocava dentro un quadro incorniciato dalle speranze e dai progetti (e dalle illusioni) maturati a seguito dell'istituzione dell'autonomia regionale, ora si tratta di pensare e progettare avendo alle spalle il Trattato di Osimo e gli atti che seguirono, le normative sulle minoranze linguistiche, il terremoto del '76 e la ricostruzione, la caduta del muro di Berlino, l'indipendenza della Slovenia e il suo ingresso nell'Unione Europea. Tutte opportunità nuove e "congiuntive". Se alle spalle delle Valli c'è una storia segnata dall'incombere del confine, ora alla gente delle Valli è chiesto di pensarsi in modo nuovo, in assenza di confine. Una bella scommessa.
    Intanto, come per il fotoreportage di Toffoletti, la sfida ai diversi livelli del "Vietato fotografare" e il bisogno di dar senso alle immagini attraverso il dialogo con le persone ha segnato in questi anni anche il percorso dell'antropologia alpina e della miglior geografia umana. A dare significato alla ricerca e a dare altra leggibilità ai documenti che ne derivano è ora un atteggiamento nuovo, che Mauro Pascolini, proprio in riferimento alle Nediške doline, sintetizza bene così: "Si è soliti sempre risalire le valli, percorrendo a ritroso il territorio, privilegiando una visione che dalla pianura si rivolge alla montagna e codificando così un atteggiamento che da sempre è stato presente e che in qualche maniera è diventato, specie negli ultimi anni, una spia della sudditanza della montagna verso la pianura, o meglio della dominanza della forza economica e talvolta culturale del piano verso il monte. Il tentativo è quello di invertire la prospettiva e quindi di leggere il territorio cercando prima di tutto di far riemergere il senso di appartenenza e di identità che i luoghi generano".
    "Un rispetto deve avere anche altri di me!": l'orgogliosa affermazione colta 40 anni fa da Riccardo Toffoletti a Mersino, fra uno scatto e l'altro, resta lezione fondamentale per ognuno che voglia mettere piede da quelle parti e desideri coglierne l'anima orgogliosa.


    Gian Paolo Gri, docente di Antropologia culturale all'Università di Udine

    LE STELLE ALPINE


     Negli anni 195O/1960 non so se qualcuno si ricorda ,le strade della Benecia (Slavia veneta) erano "abbellite"da cartelli in cui era scritto:"Vietato fotografare". A chi contravveniva a questo divieto venivano sequestrate e distrutte le foto e pagava un'ammenda. Tutto ciò era giustificato da motivi militari,per tutelare i confini.

    Io facevo le scuole elementari e non avevo mai raccolto le stelle alpine,a quei tempi non era flora protetta.
    Mio padre che conosceva molto bene la Val Torre ,su mia insistenza, un giorno di settembre mi portò in montagna per ammirare ed eventualmente cogliere stelle alpine.Mi portò veramente ,perchè gran parte del tragitto lo feci sulla sua schiena.Mi ricordo che c'erano bellissimi prati,galli cedroni , pernici ed altri uccelli. Trovammo le stelle alpine che immortalammo in belle foto che io non vidi mai.
    Scesi a valle salimmo in auto e dopo un po' ci fermarono i Carabinieri che chiesero i documenti ed ispezionarono l'automobile.Sequestrarono il rullino della macchina fotografica ed il fatto seguì il suo iter.Dopo un po' di mesi arrivò la notifica:condannato a pagare 5.934 L. che per quegli anni era una bella cifra.Non c'erano segreti militari nelle foto,ma solo una bambina coi fiori,ma la legge era la legge ed andava rispettata.Fu un episodio che non scorderò mai!


     LA LEGGENDA DELLE STELLE ALPINE

    “C’era una volta un Principe che viveva sulle Dolomiti: egli aveva tutto ciò che si potesse desiderare, eppure era Infelice. Il suo unico desiderio era andare sulla Luna.

    Il Principe vagava di notte tra i boschi, illuminati dai raggi lunari, pensando solo ad arrivare sin lassù.. al Regno Della Luna. Una notte, sulla cima di una roccia incontrò 2 vecchietti, che confidarono al Principe di poter esaudire il suo più grande desiderio: salirono su una Nuvola e su’ verso cielo buio della Notte. Arrivarono al cospetto de Re della Luna e della Figlia : una fanciulla bellissima, con un abito bianco splendente, tessuto con i raggi Lunari.. Tra i capelli fiori, anch’ essi bianchi , Mai visti dal Principe sulla Terra: erano Fiori che crescevano solo sulla Luna. Il Principe innamoratosi della principessa  la chiese in sposa e insieme fecero ritorno tra le Dolomiti. La Principessa portò con sé, come ricordo del suo amato Regno, alcuni fiori Bianchi della Luna, a Lei tanto cari, che cominciarono poi a diffondersi su tutte le Alpi e furono chiamati STELLE ALPINE .

    da https://www.agordinodoverinasconoledolomiti.it/la-leggenda-della-stella-alpina/


    mercoledì 22 gennaio 2025

    I segreti della Polenta coi "Polentârs di Verzegnis"




    " STELUTIS ALPINIS"

    Stelutis alpinis è un brano corale della tradizione friulana, composto da Arturo Zardini.



    Leontopodium nivale subsp. alpinum (Cass.Greuter2003 è una sottospecie di pianta angiosperma dicotiledone della famiglia delle Asteraceae (sottofamiglia Asteroideae).









    martedì 21 gennaio 2025

    IL FRIULI VENEZIA GIULIA



    fonte wikipedia

    Vedute (dall'alto a sinistra in senso orario) di GoriziaPordenoneUdine e Trieste

     Il Friuli-Venezia Giulia .- Friûl-Vignesie Julie in friulanoFurlanija-Julijska krajina in slovenoFriaul-Julisch Venetien in tedesco, in sigla F-VG, FVG o in friulano F-VJ) è una regione italiana a statuto speciale dell'Italia nord-orientale di 1 194 521 abitanti, con capoluogo Trieste, composta da due regioni geografiche con caratteristiche storico-culturali diverse: la regione storico-geografica del Friuli, che comprende gli ambiti provinciali di PordenoneUdine e Gorizia, e la Venezia Giulia, che comprende (sovrapponendosi in parte) quelli di Trieste e di Gorizia.


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