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I. Nievo

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giovedì 9 ottobre 2025

DISASTRO DEL VAJONT


 Il disastro del Vajont (pronuncia: /vajont) si verificò la sera del 9 ottobre 1963, nel neo-bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont nell'omonima valle (al confine tra le province italiane di Belluno e Pordenone), quando una frana precipitò dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino realizzato con l'omonima diga. La conseguente tracimazione dell'acqua contenuta nell'invaso, con effetto di dilavamento delle sponde del lago, coinvolse prima Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago dopo la costruzione della diga, mentre il superamento della diga da parte dell'onda generata provocò l'inondazione e distruzione degli abitati del dovalle, tra cui Longarone, e la morte di 1917 persone, tra cui 487 bambini e adolescenti.

Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura, furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell'opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico. Dopo la costruzione della diga si scoprì infatti che i versanti avevano caratteristiche morfologiche (incoerenza e fragilità) tali da non renderli adatti a essere lambiti da un serbatoio artificiale. Nel corso degli anni l'ente gestore e i suoi dirigenti, pur essendo a conoscenza della pericolosità, peraltro ritenuta inferiore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono dolosamente i dati a loro disposizione con il beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli Comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici.

Descrizione

Alle 22:39 del 9 ottobre 1963, circa 263 milioni di m³ di roccia(un volume più che doppio rispetto a quello dell'acqua contenuta nell'invaso) scivolarono, alla velocità di 30 m/s (110 km/h), nel bacino artificiale sottostante (che conteneva circa 115 milioni di m³ d'acqua al momento del disastro) creato dalla diga del Vajont, provocando un'onda di piena tricuspide che superò di 250 m in altezza il coronamento della diga e che in parte risalì il versante opposto distruggendo tutti gli abitati lungo le sponde del lago nel comune di Erto e Casso, in parte (circa 25-30 milioni di m³) scavalcò il manufatto (che rimase sostanzialmente intatto, pur avendo subito forze 20 volte superiori a quelle per cui era stato progettato, seppur privato della strada carrozzabile posta nella parte sommitale) e si riversò nella valle del Piave, distruggendo quasi completamente il paese di Longarone e i comuni limitrofi, e in parte ricadde sulla frana stessa (creando un laghetto).Vi furono 1.917 vittime di cui 1.450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 originarie di altri comuni.

Lungo le sponde del lago del Vajont vennero distrutti i borghi di Frasègn, Le Spesse, Il Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino e la parte bassa dell'abitato di Erto.Nella valle del Piave vennero rasi al suolo i paesi di Longarone, Pirago, Faè, Villanova, Rivalta e risultarono profondamente danneggiati gli abitati di Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna. Vi furono danni anche nei comuni di SoverzenePonte nelle Alpi, nella città di Belluno a Borgo Piave e nel comune di Vas nella borgata di Caorera dove il Piave, ingrossato dall'onda, allagò il paese e raggiunse il presbiterio della chiesa.

L'evento fu dovuto a una serie di cause, di cui l'ultima in ordine cronologico fu l'innalzamento delle acque del lago artificiale oltre la quota di sicurezza di 700 metri voluto dall'ente gestore, operazione effettuata ufficialmente per il collaudo dell'impianto, ma con il plausibile fine di compiere la caduta della frana nell'invaso in maniera controllata, in modo che non costituisse più pericolo. Questo, combinato a una situazione di abbondanti precipitazioni meteorologiche e a forti negligenze nella gestione dei possibili pericoli dovuti al particolare assetto idrogeologico del versante del monte Toc, accelerò il movimento dell'antica frana presente sul versante settentrionale del monte Toc, situato sul confine tra le province di Belluno (Veneto) e Pordenone (Friuli-Venezia Giulia). I modelli usati per prevedere le modalità dell'evento si rivelarono comunque errati, in quanto si basarono su una velocità di scivolamento della frana nell'invaso fortemente sottostimata, pari a un terzo di quella effettiva.

da wikipedia