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Qui si parla del Friuli multietnico, dei luoghi,foto,video curiosità,articoli dai giornali e tanto altro.E’ una regione a Statuto speciale tutelata dalla legge per le minoranze linguistiche che prevede cartellonistica plurilingue,leggi speciali,scuole con l’insegnamento delle lingue minoritarie,radio,Tv giornali ecc.

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I. Nievo

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domenica 5 ottobre 2025

VIVA LA POLENTA


Oggi fa freddino e piove!


E' la giornata ideale per cucinare una polentina.Voi la conoscete?In Fiuli la polenta era il cibo principale di tutti i giorni.

Le origini della polenta

La polenta è uno dei piatti più antichi della storia, già usato dagli antichi Sumeri e in Mesopotamia, veniva preparato con miglio e segale. Nell’Antica Grecia si usava la farina d’orzo e altre varianti sono presenti nella storia dei popoli africani e asiatici.

Durante l’epoca romana era comune la “pultem”, una specie di polentina morbida con farro macinato e cotto. Prima del 1492, a Venezia si preparavano i zaleti, dolci rustici a base di farina di mais gialla. Non è certo da dove provenisse il primo tipo di mais scelto, ma grazie agli scambi commerciali con l’Oriente, i mercanti veneziani portarono il frumento giallo nelle paludi del Polesine e nel Friuli.

Il mais fu introdotto dopo la scoperta dell’America, sostituendo il farro come base per la polenta. In Italia, i Friulani furono i primi ad adottare questo cereale intorno al 1550 d.C. quando veniva chiamato “granoturco” poiché tutto ciò che veniva da terre lontane veniva aggettivato con “turco”.

Storia della polenta

La polenta divenne rapidamente uno dei piatti principali delle popolazioni montane e rurali, grazie alla sua semplice preparazione e al costo accessibile degli ingredienti. Quando la disponibilità di altri cereali, come il grano, era limitata, la polenta di farina di mais li sostituiva, divenendo un alimento sostanzioso e nutriente.

Nel corso dei secoli, la polenta ha assunto varie forme e ricette regionali. In alcune zone, veniva cucinata e servita in grandi padelle, tagliata in fette e abbinata a sughi di carne o formaggio. In altre regioni, la polenta veniva servita bianca o arricchita con ingredienti locali come funghi, formaggi o erbe aromatiche.

La polenta era ed è un simbolo di umiltà e tradizione culinaria, un piatto che univa le famiglie attorno a un tavolo. Era spesso preparata durante eventi speciali, come matrimoni e feste di paese, celebrando così le radici e la cultura locali.

Oggi, la polenta rimane una componente importante della cucina italiana, sia nelle sue preparazioni tradizionali che in varianti moderne e creative. È amata per la sua versatilità e per il suo legame con il passato.

Il cereale di base più usato in assoluto è il mais, importato in Europa dalle Americhe nel XVI secolo, che le dà il caratteristico colore giallo, mentre precedentemente era più scura perché la si faceva soprattutto con farro o segale, e più tardivamente anche con il grano saraceno, importato dall'Asia. Pur comparendo un esemplare di mais nell'Erbario di Ulisse Aldrovandi (Bologna, 1551), le prime testimonianze scritte di coltivazioni di mais in Italia fanno riferimento ai territori della Repubblica di Venezia. In un'annotazione alla seconda edizione del Delle navigationi et viaggi di Giovan Battista Ramusio (Venezia, 1554), commentando un testo del portoghese João de Barros (1496-1570), si afferma infatti che:

«La mirabile et famosa semenza detta mahiz ne l'Indie occidentali, della quale si nutrisce metà del mondo, i Portoghesi la chiamano miglio zaburro, del qual n'è venuto già in Italia di colore bianco et rosso, et sopra il Polesene de Rhoigo et Villa bona seminano i campi intieri de ambedui i colori»

domenica 28 settembre 2025

IL PANE


Il pane
di Valter Zucchiatti
DA VITA NEI CAMPI
Parliamo ancora del pane, impiegato però in preparazioni dolci. Come ho detto in altra occasione, per noi occidentali il pane è sacrosanto, fragrante appena sfornato con qualsiasi companatico (dalla ricotta alla nutella, anche se il paragone non mi piace), oppure secco da utilizzare in mille altre preparazioni, dai crostini agli gnocchi. Oggi propongo tre ricette della torta di pane.
Torta di pane di segale dei conti Caiselli di Udine (primi anni dell’Ottocento): mescolare a lungo 12 tuorli e 8 albumi in 480 g di zucchero e 240 di mandorle tritate, 240 di pane di segale grattugiato, setacciato e inzuppato in un liquore a scelta, scorze di limone, qualche chiodo di garofano e cannella: amalgamare il tutto e aggiungere i restanti 4 albumi sbattuti a neve. Ungere lo stampo con burro e pangrattato e cucinare in forno a 170°.
La seconda ricetta si trova nel quaderno di una famiglia di Moggio Udinese scritta nel 1913, che ho avuto grazie alla cortesia dell’amica Silvia Lucca: 8 rossi d’uovo, 60 g zucchero, si mischia insieme per cinque minuti, si aggiunge centesimi 30 di rosolio (non saprei a quanto corrisponde nel sistema decimale, per cui è bene fare delle prove), un po’ di pane con due stanghette di ciocolata, poi dei bianchi si fa la neve e si miscia tutto insieme finché è ben corporato, poi si mette subito nello stampo ben unto.
L’ultima l’ho ereditata da mia madre, che a sua volta l’aveva ricevuta dal quotidiano passaparola fra casalinghe.
Ingredienti: 300 g di pane raffermo grattato, ¾ lt di latte tiepido, 2 uova, 100 g di burro, 20 amaretti pestati, la buccia grattata di un limone, 50 g di uvetta sultanina ammollata nell’amaretto e strizzata, alcune prugne e fichi secchi tagliati a pezzettini, 30 g di pinoli, 5 cucchiai di zucchero, un pizzico di sale, una bustina di lievito, burro q.b. per ungere. Bagnare il pane con il latte, strizzarlo e amalgamarvi gli altri ingredienti, versare in una ciambella per budino o in una tortiera della giusta misura unti con il burro e il pangrattato, e infornare a 180° per 45-50 minuti.
Ricordo ancora il pomeriggio di un sabato del 1971, quando studiavo per gli esami di maturità. Nel soggiorno eravamo in due, io e il piatto con la torta di pane ormai fredda cucinata in mattinata e che mi invitava con insistenza ad assaggiarla, cosa che ovviamente non rifiutai, ma quando verso le cinque nella stanza entrò mia madre per prenderla trovò il piatto vuoto e ripulito. In meno di due ore l’avevo fatta fuori.

LA GUERRA DEL LUPPOLO

 CIN  CIN      ALLA   SALUTE     NA  ZDRAVJE


Nel Medioevo la guerra del luppolo

di Vladimiro Tulisso
Il Medioevo rappresenta un'epoca fondamentale per l'evoluzione della birra, trasformandola da semplice bevanda fermentata a prodotto raffinato. I monasteri furono i veri protagonisti di questa rivoluzione. I monaci benedettini, cistercensi e di altri ordini, non solo perfezionarono le tecniche di produzione, ma documentarono meticolosamente ogni processo. Avevano tempo, pazienza e, soprattutto, accesso all'acqua pulita delle sorgenti montane. Questo vantaggio tecnico, unito alla necessità di produrre birra per il sostentamento della comunità, li portò a diventare i migliori birrai del loro tempo.
L'introduzione del luppolo – una pianta erbacea rampicante imparentata con la cannabis - rappresenta forse l'innovazione più importante del periodo medievale. Prima dell'anno Mille, la birra veniva aromatizzata con una miscela di erbe chiamata "gruit", che includeva mirto, rosmarino, bacche di ginepro e altre spezie. Il luppolo, inizialmente utilizzato in Germania, rivoluzionò la produzione per due motivi fondamentali: conferiva un sapore amaro che bilanciava la dolcezza del malto e, soprattutto, possedeva proprietà conservative naturali che permettevano alla birra di durare molto più a lungo.
La diffusione del luppolo non fu immediata né pacifica. Esistevano veri e propri "monopoli del gruit" controllati da autorità ecclesiastiche e civili che traevano profitto dalla vendita delle miscele di erbe. L'introduzione del luppolo minacciava questi guadagni, scatenando quella che gli storici chiamano "la guerra del luppolo", che durò quasi due secoli.
In quel periodo nacquero anche le prime corporazioni di birrai, organizzazioni che regolavano la produzione, stabilivano standard di qualità e proteggevano i segreti del mestiere. A Monaco, già nel 1363, esisteva una corporazione che stabiliva regole precise per la produzione di birra, anticipando quella che, nel 1516, sarebbe diventata la famosa legge della purezza bavarese.
La birra medievale era diversa da quella moderna: più densa, meno alcolica e spesso torbida. Veniva consumata tiepida e rappresentava un alimento fondamentale, soprattutto durante i lunghi inverni quando frutta e verdura scarseggiavano. Un adulto medievale consumava in media 3-4 litri di birra al giorno, considerando che l'acqua era spesso non potabile.
da vita nei campi






lunedì 22 settembre 2025

SLANA SKUTA/RICOTTA SALATA


 La slana skuta, una ricotta quasi dimenticata

di Michela Urbano
La nostra regione è un vero e propio patrimonio di saperi e peculiarità culinarie,
molte delle quali quasi dimenticate.
Oggi vi racconto di un viaggio nelle Valli del Natisone, più precisamente la mia
destinazione è stata Bizonta di Pulfero. Lì ad aspettarmi, ho trovato la Signora
Iolanda Iussa.
Iolanda, è una signora d’altri tempi, la vita non le ha mai fatto sconti ma propio per
questo, ascoltare i sui racconti intrisi di ironia è stato un po' come viaggiare,
accanto a lei, oltre i confini e le ideologie.
Tra i vari racconti di cucina e non solo, ho trovato particolarmente interessante per
questa rubrica un’antica pratica, con la quale si conservava la ricotta.
Ve la racconto, così gli appassionati di fermentazioni, potranno provare a farla:
Procuratevi della ricotta fresca di malga, potete anche mescolare ricotta vaccina
con ricotta ovina per avere un gusto più ricco. Unite il 2% di sale fino integrale non
iodato, pepe a piacere. Mescolate ben bene e pressate il composto all’interno di
un barattolo pulito e asciutto che avrete precedentemente sanificato.
Riempite il barattolo fin quasi all’orlo, lasciando un paio di centimetri al massino di
vuoto e assicurandovi che nella ricotta non vi rimangano intrappolate bolle d’aria.
Coprite con un telo pulito e fissatelo con un elastico.
Lasciate fermentare per due settimane sgocciolando l’acqua in eccesso che si
formerà.
Trascorso il tempo necessario conservatela in frigorifero.
La crema che si ottiene ha un sapore acido e pepato, sicuramente non per tutti ma
Iolanda dice che a piccole dosi può dare un tocco in più a delle uova al tegamino,
a delle patate lesse, sulla polenta abbrustolita e perchè no, su un più moderno
crostino.
La “slana skuta” così si chiama questa ricotta fermentata racconta bene come il
sapere trovasse un tempo largo impiego nelle materie di facile reperibilità e
nell’esigenza di conservare quanto più possibile i beni di prima necessità.
Non solo, la slana skuta racconta anche la storia di luoghi in cui il confine è una
linea, più o meno simbolica, tracciata da uomini mentre la conoscenza e la
condivisione delle pratiche culinarie sono un’espressione di unione e condivisione.
Basta infatti valicare il monte Matajur per assaporare in Slovenia la stessa ricetta di
“slana skuta”. da Vita nei Campi


sabato 13 settembre 2025

IL FRICO (piatto tipico del Friuli)

 Il frico (nell'originaria pronuncia friulana fricò) è un piatto a base di formaggio di varie stagionature, accompagnato nella sua versione morbida da patate e cipolla. Considerato la preparazione più tipica del Friuli e della cucina friulana, è riconosciuto tra i prodotti agroalimentari tradizionali friulani e giuliani. È diffuso anche nella vicina Slovenia ed in Carinzia, dove prende il nome di frika.

Storia

Questo piatto è stato descritto per la prima volta con il nome di "caso in patellecte" dal maestro Martino da Como, cuoco del patriarca di Aquileia, cardinale Ludovico Trevisan, nella sua opera De Arte Coquinaria verso la metà del XV secolo. Fino alla fine dell'Ottocento il termine in uso aveva l'accento sull'ultima vocale: fricò. Tra la metà Ottocento e soprattutto nel Novecento la lingua italiana ha contaminato il friulano parlato ed, essendo rare in italiano le parole tronche, gradualmente l'accento venne retrocesso.

Caratteristiche

Si tratta di formaggio cotto in padella con burro o lardo. Si presenta in due versioni: friabile o morbido.

Entrambi si possono servire sia come antipasto che come secondo. Sebbene oggi il frico sia visto come un piatto festivo, tradizionalmente la sua preparazione era finalizzata al recupero dei ritagli di formaggio (strissulis), sottili strisce dall'aspetto simile a mozzarella, parte in eccesso dopo la sagomatura delle forme di formaggio.

Il frico friabile o croccante è molto sottile ed è fatto di solo formaggio (generalmente montasio) che viene fritto nel suo burro. Facile da sagomare è ottimo per delle terrine di funghi o fonduta di montasio. Può essere servito anche come snack.

Frico

Il frico morbido si prepara con del formaggio, patate, cipolle (di solito varietà dorata), si presenta come una grossa frittata ed è servito con la polenta.

Preparazione

Si prende del formaggio stagionato (montasio, latteria o malga) da 6 a 12 mesi e lo si grattugia o si taglia a pezzi. Si fa scaldare una padella di ferro unta leggermente (o un tegamino antiaderente) e vi si sparge in uno strato sottile ed uniforme una manciata di formaggio, le cipolle e le patate (a seconda delle dimensioni della padella e della quantità di formaggio, lo strato sarà pressoché circolare con un diametro dai 10 ai 15 centimetri). Si schiaccia con una paletta per far uscire il grasso in eccesso e, quando è dorato, lo si stacca con cura (per non romperlo) dal tegame e lo si fa rosolare dall'altro lato. Togliere dalla padella e far raffreddare su una carta assorbente da cucina.

Ne risulta un biscotto di formaggio friabile e molto saporito. Nella tradizione la cottura avveniva sulla stufa a legna; su fuochi a gas o elettrici si ottengono comunque ottimi risultati.

Diffusione

Il frico è offerto in quasi tutte le sagre in Friuli ed ha anche due eventi dedicati: uno a Carpacco di Dignano, la cosiddetta Sagre dal frico, e uno a Flaibano, il festival A tutto frico..., dove se ne prepara anche una versione tipica locale con le erbe e una piccante.[senza fonte] A Tolmino, in Slovenia, ogni anno viene organizzato il Frika Fest.

Da Wikipedia

mercoledì 15 gennaio 2025

🍪Una ricetta veloce per i baci di cocco🍪


L’avvento della Valcanale è denso di preparativi, tra l’altro anche per la radicata consuetudine di infornare biscotti da regalare ad amici e persone care. Negli anni scorsi abbiamo svelato la ricetta dei Vanillekipferl, quest’anno vi presentiamo la facile ricetta dei baci al cocco (Kokosbusserl).
Servono tre albumi a temperatura ambiente, 200 grammi di zucchero a velo, 200 grammi di farina di cocco e un cucchiaino di succo di limone. 


  1. Montiamo gli albumi a neve.
  2. Aggiungiamo lentamente agli albumi montati lo zucchero a velo, fino a comporre una densa crema. Se usiamo lo sbattitore elettrico, lo impostiamo a velocità media.
  3. Aggiungiamo alla crema la farina di cocco e il succo di limone.
  4. Con un cucchiaino poniamo piccoli mucchietti del composto ottenuto su una teglia rivestita di carta da forno.
  5. Cuociamo per circa 15 minuti a 180 gradi, finché i biscotti non raggiungono un colore lievemente dorato. Se vogliamo, alla fine possiamo immergere la punta dei biscotti in cioccolato fuso.
 

venerdì 3 gennaio 2025

GLI STRUCCHI dolci natalizi delle Valli del Natisone/Nediške doline


 Gli Strucchi

Gli strucchi sono dei golosissimi fagottini, piccoli scrigni di assoluta bontà, ideali per rallegrare tutte le festività, in particolare il Natale. Questi dolci sono tipici della Valli del Natisone, piccolo territorio del Friuli Venezia Giulia a ridosso del confine sloveno. Assieme alla gubana, con cui hanno in comune il classico ripieno, venivano prodotti già nel 1409. Documenti storici riportano che all’arrivo di Papa Gregorio XII, in quel di Cividale del Friuli, ricchi banchetti venivano preparati con le migliori pietanze e tra i dolci erano sempre presenti gubane e strucchi. Fino a metà del secolo scorso queste piccole delizie venivano preparate esclusivamente tra le mura domestiche. Nel tempo, con l’aumentare del flusso turistico, grazie alla bellezza di queste vallate incontaminate e della nota Cividale longobarda, i forni artigianali locali iniziarono a commercializzare ottenendo immediatamente un grandissimo successo, tanto da diventare simbolo dolciario del territorio.

continua https://www.lidentita.it/regioni-in-tavola-friuli-venezia-giulia-gli-strucchi/

domenica 17 novembre 2024

MELA SEUKA

È una varietà di melo autoctona con frutti dalla pezzatura media e forma asimmetrica. Presenta una discreta produttività. È croccante e gustosa oltre a conservarsi intatta nel sapore per mesi anche senza necessità di riporla in frigorifero. Territorio interessato alla produzione: Province di Udine e Pordenone, in particolare nelle Valli del Natisone (UD) e nel comprensorio di Castelnuovo del Friuli (PN).
E' mela di nicchia che si trova solo dal coltivatore,non in negozio!
'

sabato 16 novembre 2024

LA PANADE


 IL PANCOTTO

🍲 una minestra oggi disprezzata che invece è un modo sano e gustoso per utilizzare gli avanzi del pane.
Si mette a bollire in acqua salata, o nel brodo, il pane tagliato a fettine, lasciando cuocere a fuoco basso, circa mezzora.
Quando il pane avrà assorbito completamente il liquido, schiacciatelo con una forchetta in modo che si sfaldi e diventi cremoso. Poi, fuori dal fuoco si condisce con un buon olio crudo e una spolverata abbondante di parmigiano.

mercoledì 13 novembre 2024

FRICO FRIULANO


 Il frico  è un piatto a base di formaggio di varie stagionature, accompagnato nella sua versione morbida da patate e cipolla. Considerato la preparazione più tipica del Friuli e della cucina friulana, è riconosciuto tra i prodotti agroalimentari tradizionali friulani e giuliani. È diffuso anche nella vicina Slovenia ed in Carinzia, dove prende il nome di frika.

Questo piatto è stato descritto per la prima volta con il nome di "caso in patellecte" dal maestro Martino da Como, cuoco del patriarca di Aquileia, cardinale Ludovico Trevisan, nella sua opera De Arte Coquinaria verso la metà del XV secolo. Fino alla fine dell'Ottocento il termine in uso aveva l'accento sull'ultima vocale: fricò. Tra la metà Ottocento e soprattutto nel Novecento la lingua italiana ha contaminato il friulano parlato ed, essendo rare in italiano le parole tronche, gradualmente l'accento venne retrocesso.

Si tratta di formaggio cotto in padella con burro o lardo. Si presenta in due versioni: friabile o morbido.

Entrambi si possono servire sia come antipasto che come secondo. Sebbene oggi il frico sia visto come un piatto festivo, tradizionalmente la sua preparazione era finalizzata al recupero dei ritagli di formaggio (strissulis), sottili strisce dall'aspetto simile a mozzarella, parte in eccesso dopo la sagomatura delle forme di formaggio.

Il frico friabile o croccante è molto sottile ed è fatto di solo formaggio (generalmente montasio) che viene fritto nel suo burro. Facile da sagomare è ottimo per delle terrine di funghi o fonduta di montasio. Può essere servito anche come snack.

Il frico morbido si prepara con del formaggio, patate, cipolle (di solito varietà dorata), si presenta come una grossa frittata ed è servito con la polenta.

Si prende del formaggio stagionato (montasio, latteria o malga) da 6 a 12 mesi e lo si grattugia o si taglia a pezzi. Si fa scaldare una padella di ferro unta leggermente (o un tegamino antiaderente) e vi si sparge in uno strato sottile ed uniforme una manciata di formaggio, le cipolle e le patate (a seconda delle dimensioni della padella e della quantità di formaggio, lo strato sarà pressoché circolare con un diametro dai 10 ai 15 centimetri). Si schiaccia con una paletta per far uscire il grasso in eccesso e, quando è dorato, lo si stacca con cura (per non romperlo) dal tegame e lo si fa rosolare dall'altro lato. Togliere dalla padella e far raffreddare su una carta assorbente da cucina.

Ne risulta un biscotto di formaggio friabile e molto saporito. Nella tradizione la cottura avveniva sulla stufa a legna; su fuochi a gas o elettrici si ottengono comunque ottimi risultati. 

da wikipedia


martedì 22 ottobre 2024

Ribolla gialla

 


RIBOLLA GIALLA (spumante)

di Vladimiro Tulisso

Degustare la Ribolla gialla ci permette di entrare nel mondo dei vini con le bollicine. Il vino che in queste settimane abbiamo imparato a conoscere sia in versione ferma che con macerazione delle bucce, si presta anche a subito una seconda fermentazione e trasformarsi in spumante. Davanti a me ho un calice con una ribolla gialla spumantizzata con il metodo classico da un'azienda della Doc Friuli Colli orientali: non ha l'annata, è dichiarato brut – cioè con pochissimo zucchero - e ha 12 gradi e mezzo. La presa di spuma, la tecnica che ha prodotto le bollicine, è il metodo champenoise, la pratica enologica perfezionata in Francia fin dal 1600 e all'origine dei vini champagne. Per la Ribolla è abbastanza raro quindi lo spiego.
Al vino base tra marzo e aprile, dopo la vendemmia, viene aggiunto un mix di zucchero di canna, lieviti e sostanze minerali utili al loro sviluppo. Il vino base finisce in bottiglie sigillate con tappo corona e immagazzinate al buio a una temperatura di una dozzina di gradi. Durante questa fase accadono due eventi: i lieviti mangiano lo zucchero, producono anidride carbonica e poi, utilizzato tutto lo zucchero, muoiono e restituiscono al vino quello che avevano sottratto. Finito l'affinamento – che parte da 18/24 mesi, ma arriva a superare i 120 (nel vino che ho davanti i mesi sono stati 36) - le bottiglie vengono stappate salvando la pressione, vengono eliminati i piccoli depositi e ritappate con il tappo un fungo. Dopo cinque/sei mesi di sosta sono pronti per essere consumati.
Il vino spumante nel mio calice ha bollicine vivaci. Il loro numero, la dimensione e la persistenza aiutano già alla vista – in un liquido che è di un delicato giallo paglierino – a valutare la qualità della bevanda. In un vino di pregio le bollicine sono piccole, salgono lente, sono numerose e persistenti e si riuniscono sulla parete del bicchiere a formare una specie di corona. Anche al naso la bontà del prodotto è confermata da profumi di agrumi, pesca e albicocca con tracce di frutta secca ed erbe aromatiche. Non c'è una grande intensità, ma il naso è elegante con fragranze di lievito e crosta di pane. Il sorso è secco con le bollicine e l'acidità che lo rendono vibrante. Un vino che ben si presta a diventare un aperitivo o accompagnare antipasti o primi di pesce. Da servire freddo a 8 – 10 gradi. 
Da Vita nei campi fb