Qui si parla del Friuli multietnico, dei luoghi,foto,video curiosità,articoli dai giornali della minoranza slovena e tanto altro.Nella mia regione si parla il friulano,lo sloveno e il tedesco.E’ una Regione a Statuto speciale tutelata dalla legge per le minoranze linguistiche che prevede cartellonistica plurilingue,leggi speciali,scuole con l’insegnamento delle lingue minoritarie,trasmissioni radio e Tv giornali
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IVAN TRINKO
lunedì 27 gennaio 2025
Il blog di Andrea: La liberazione di Auschwitz
SINFOROSA CASTORO: Hitler e Stalin
Per non dimenticare
L’ultima, proprio l’ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla!
L’ultima
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto: i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere del castagno
nel cortile.
Ma qui non ho visto nessuna farfalla.
Quella dell’altra volta fu l’ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.
Pavel Friedman
fonte web
CRONACA
TRIESTE
Cinquant’anni di Premio Nonino, ecco chi ha vinto l'edizione 2025
I quattro vincitori, decisi dalla giuria, verranno premiati Distillerie Nonino a Ronchi di Percoto, sabato 25 gennaio 2025
© UdineToday
domenica 26 gennaio 2025
I FRIULANI
I friulani sono un popolo che vive in Friuli ecco alcune caratteristiche
gran lavoratori (una volta perchè oggi i giovani aspettano la manna dal cielo come ovunque)
diffidenti,ma se ti conoscono danno anche l'anima
generosi,individualisti e introversi
decisi , testardi
Un friulano non si ferma quando è stanco... Si ferma quando ha finito! |
Prime di dî di nò, viôt se tu pûs dî di sì, prime di dî di sì, pense sôre une dì.
Prima di dire di no, vedi se puoi dire di sì, prima di dire di sì, pensaci sopra un dì.
I krafi di nonna Chiara
Ingredienti: castagne lessate e passate come elemento principale, pane grattato e biscotti secchi abbrustoliti nel burro, fichi secchi, prugne secche, uvetta ammollata nel ruhm, cioccolato fondente grattugiato, amaretti, grappa, pinoli, mandorle e nocciole pestati (in realtà la frutta secca è a gusto e non troppa) poco zucchero, miele.
Si cuoce brevemente in pentola antiaderente il composto e lo si fa riposare affinché i vari gusti si amalgamino e si riconoscano. Poi si riscalda e si assaggia ripetendo l' operazione fino al raggiungimento del sapore caratteristico. Si prepara la pasta che io faccio così (variando un po' quella di mia nonna perché rimane più morbida).
impasto 500gr farina forte con 250 gr di acqua tiepida, una nocina di burro e 3 gr. lievito birra fresco. Riposo una notte in frigo e un' oretta ambiente; stendo la pasta circa 3 mm. Con la farcia, detta pistum, formo cilindri di circa 7cm di lunghezza per un po' meno di 3 cm di diametro. La chiusura è particolare e andrebbe vista. Ogni kref viene bollito per qualche minuto in acqua leggermente salata.
ricetta di Prosnid/Prossenicco
da FB
BUON APPETITO/DOBER TEK!!!
Il campo di concentramento e il sacrario di Gonars (Giornata della memor...
sabato 25 gennaio 2025
Giulio Regeni: a 9 anni dal suo omicidio, la ricerca di verità e giustizia continua
Sono trascorsi nove anni da quando Giulio Regeni, un ricercatore italiano di 28 anni, è stato brutalmente ucciso in Egitto. Il suo corpo senza vita fu ritrovato il 3 febbraio 2016, ai margini di una strada del Cairo, con evidenti segni di tortura.
Da quel giorno, la sua famiglia e gli amici non si sono mai arresi nella ricerca di verità e giustizia. La loro richiesta è semplice: chi ha ucciso Giulio e perché?
Le indagini sull'omicidio di Regeni sono state lunghe e complesse. La procura di Roma ha aperto un fascicolo per omicidio e tortura, contestando il coinvolgimento di alcuni esponenti dei servizi segreti egiziani.
A nove anni di distanza, la ricerca di verità e giustizia per Giulio Regeni è ancora in corso. È importante non dimenticare questo caso e continuare a chiedere che i responsabili siano individuati.
Web sul blog: La sfida cinematografica: scegli il tuo film prefe...
Ogni merlo è un merlo | Storie per spiegare la Shoah ai bambini
Libro di Frediano Sessi
Vita di Laura Geiringer sopravvisuta ad Auschwitz |
Sinossi
Il giorno e l'ora della liberazione dai campi di concentramento vengono spesso raccontati e rappresentati come un ritorno alla vita e la fine di atroci sofferenze. Non è stato così per molti dei prigionieri dei Lager, tanto meno per le poche donne scampate all'orrore. E non è stato così per Laura Geiringer, unica sopravvissuta della sua famiglia, tornata a casa con la consapevolezza di dover impiegare tutte le sue forze per ricominciare a vivere. La vergogna e il disgusto per quanto subito la spingono a tacere: chi le crederebbe? A chi parlare dei tremendi esperimenti che il professor Carl Clauberg conduceva sui corpi delle donne ad Auschwitz? Chi non aveva esperienza del Lager non poteva capire, forse non sarebbe nemmeno riuscito ad ascoltare. Unico sfogo per sfuggire al ricordo delle abiezioni di Birkenau è il diario di memorie a cui affida i suoi pensieri. Grazie a quelle parole, a nuovi documenti e a testimonianze inedite, Frediano Sessi ricostruisce la tragica storia di Laura e della sua famiglia, dalla serenità dell'infanzia all'ignominia delle leggi razziali; dalla tentata fuga a Gruaro alla detenzione a Venezia; dal tragico trasferimento ad Auschwitz sul medesimo convoglio di Primo Levi al tentativo di riprendere, dopo la liberazione, un'impossibile normalità. Accanto alle storie sia degli aguzzini sia delle compagne che con lei hanno condiviso torture e vessazioni, emerge con forza in queste pagine il desiderio di resistere con ogni mezzo a quel male assoluto.
- ISBN: 8829789003
- Casa Editrice: Marsilio
- Pagine: 208
- Data di uscita: 17-01-2025
giovedì 23 gennaio 2025
APROFONDIMENTO
Vietato fotografare Approfondimento
Negli anni Sessanta le strade del Friuli erano ancora accompagnate da minacciosi avvisi "Vietato fotografare". Alle servitù e ai cartelli materiali giustificati da presunte ragioni militari si aggiungevano divieti mentali non meno pervasivi, a tutela di confini guardiati con anche maggior cura. C'era un Friuli che non doveva essere mostrato: soggetti tabù, immagini da non divulgare, aspetti che era meglio nascondere sotto le pieghe. Resta esemplare la reazione del Messaggero Veneto al manifesto del "Gruppo friulano per una nuova fotografia", diffuso il 1 dicembre 1955 dai giovani spilimberghesi desiderosi di importare qui, in un Friuli provinciale e conformista, la lezione di "una fotografia asciutta", che andasse "diritta al nome delle cose". Arturo Manzano, autorevole critico d'arte, certo del plauso dei lettori, poteva ironizzare con titolo e sottotitolo: "Infelice annuncio dell'avvento di una "nuova fotografia". La presunzione al posto della conoscenza dei fatti e del doveroso rispetto delle persone".
I cartelli, quelli materiali e gli altri, pesavano soprattutto sul Friuli marginale; e come negli anni Cinquanta ci fu la protesta benpensante e cittadina contro le immagini "asciutte" che svelavano le valli prealpine del Friuli occidentale, così una decina di anni dopo toccò alle immagini delle Valli del Natisone di Riccardo Toffoletti. I due contesti erano egualmente problematici, antropologicamente "densi" per le caratteristiche di diversità e specificità, segnati da una condizione strutturale - economica e demografica - che li faceva pensare giunti al capolinea, in attesa del colpo finale.
Invece sono ancora là. Restano contesti non meno problematici di allora, così che la riproposta di immagini di quattro decenni fa non ha nulla di nostalgico o di artificioso; ma alle vecchie questioni non risolte se ne è aggiunta una nuova, ed è quella rappresentata proprio dal loro resistere: l'ostinata volontà di continuare ad esserci e a contare, nonostante tutto, con le proprie caratteristiche peculiari.
Fotoreportage definiva 40 anni fa Toffoletti il suo lavoro. L'indicazione del 'genere' chiariva di per sé la scelta di fotografare e proporre al pubblico un problema, non un ambiente caratteristico, con i suoi personaggi, non un paesaggio tipico; già la definizione affermava il legame con la tradizione fotografica impegnata e rinnovata, che fra i suoi propositi aveva la scelta di dar voce ai mondi marginali e subalterni. "Persone e non personaggi", diceva uno slogan. E siccome, a differenza dei personaggi che recitano copioni altrui, le persone parlano di sé e per sé, ecco che la fotografia diventava operazione complessa e richiedeva non solo scatti, ma anche ascolto e dialogo, anche osservazione partecipante, come si direbbe in antropologia. Da qui la scelta conseguente di utilizzare come didascalie proprio spezzoni di dialogo colti dal vivo: frasi capaci di esprimere dall'interno le diverse sfaccettature del problema rappresentato dalla situazione in cui versavano le Valli del Natisone.
Una didascalia mi ha colpito particolarmente; è una frase colta da Toffoletti a Mersino, interessante già dal punto di vista linguistico per lo sforzo di traduzione che rivela dal dialetto in lingua, ma forte come un macigno perché ha a che fare con la dignità e tocca proprio quella questione della "resistenza" che giustifica 40 anni dopo la riproposta delle immagini di allora e del dibattito che ne derivò: "A me non mi dice nessuno lei, così io non ci ho nessun rispetto anche di nessuno, perché tutti mi chiamano tu. Un rispetto deve avere anche altri di me! Ci vorrebbe più soldi e più rispetto".
Anche in Friuli il Novecento è stato il secolo che ha visto costituirsi in maniera vigorosa, e a contrasto con un folklorismo di maniera sempre risorgente, l'intreccio complesso e obbligato fra una etnologia fatta di parole e una etnologia fatta di immagini. Non c'è ambito dell'etnografia regionale che possa prescindere dai corredi fotografici, talvolta in maniera diretta e privilegiata (le forme dell'insediamento, l'architettura tradizionale, gli arredi interni, i saperi tradizionali e gli strumenti di lavoro, le forme della socialità e della ritualità comunitaria), in altri ambiti in maniera più complessa. Lo si vede bene ora, dopo che negli ultimi anni si è sviluppato un intenso lavoro di inventario, catalogazione e riproposta di fondi fotografici: strumenti indispensabili per una fondata e perfino sofisticata descrizione etnografica, capace di cogliere le specificità interne e i processi di trasformazione che nel corso del Novecento hanno determinato la messa ai margini del genere di vita tradizionale.
Ma oltre l'etnografia? Lavorando alcuni anni fa proprio nel Cividalese e cogliendo dalla voce dei protagonisti il durissimo prezzo pagato per passare dai campi ai cementifici locali fotografati da Toffoletti nel loro desolato abbandono, l'antropologo Douglas R. Holmes scriveva: "Per chi viene da fuori, italiano o straniero, il Friuli" - e al suo interno la Benecia tanto più - "è una zona non molto nota, e nemmeno è stata spesso meta di antropologi. Non sono stati ancora formulati interrogativi antropologici per affrontare il suo ingannevole carattere" (Disincanti culturali. Contadini-operai in Friuli, 1991). E' vero; ma buoni interrogativi antropologici intorno al "carattere ingannevole" vengono indirettamente formulati proprio da fotografie come queste, interessate meno ai paesaggi, ai mestieri, agli oggetti e alle forme tipiche, e più ai problemi. Fotografie non reticenti, proposte sapendo di toccare nervi scoperti e di violare il tabù imposto dal "Vietato fotografare", sapendo di attirarsi l'accusa di parzialità.
Mi è difficile oggi decifrare completamente la natura originaria dell'operazione. In quel 1968, probabilmente, era più forte di quanto non possa essere oggi l'illusione di riuscire a far parlare attraverso le immagini una realtà oggettiva. Ma anche allora la natura stessa del fotografare, fatta di scelte, non poteva che lasciare fra le mani la consapevolezza delle tante selezioni messe in atto e la coscienza del peso della soggettività all'interno del proprio lavoro di fotografo, anche quando voleva essere di polemica documentazione. Il "realismo ingenuo" era semmai di altri, meno consapevoli che basta cambiare punto di vista e inquadratura per mutare il significato; altri che pretendevano una fotografia "utilizzata anziché come illustrazione, come documentazione assoluta di una realtà, necessaria e oggettiva alla stregua di una tavola di risultati statistici". Trovo l'affermazione nell'anomalo e provocatorio catalogo che accompagnava, nel novembre di quel 1968, la presentazione del fotoreportage di Toffoletti a Udine, nella Galleria del Centro.
A incorniciare alcune delle foto, in quel catalogo sta infatti un singolare Rapporto antropogeografico firmato dall'architetto Giovanni Pietro Nimis. Leggendolo, si capisce come - miscelato alle fotografie - abbia potuto innescare un dibattito dai toni accesi, di cui fortunatamente resta traccia scritta. Episodio interessante, e non secondario, del Sessantotto udinese. Sullo sfondo di immagini asciutte e di didascalie cariche di interrogativi impliciti ed espliciti (basterebbe il confronto con il ricco e articolato repertorio di fotografie delle Valli di Mario Magajna, in quello stesso periodo), il Rapporto di Nimis aggiungeva benzina al falò: un breve profilo storico, la scelta di Savogna come comune-campione a cui riferire una batteria impietosa di tavole statistiche relative alle variabili demografiche, una proposta di soluzione ancora più impietosa delle tabelle.
A leggere quelle pagine oggi, 40 anni dopo, non si capisce bene se si tratta di un'analisi-proposta seria, pensata e formulata in termini realistici, o non piuttosto di una provocazione giocata sul paradosso, come un pamphlet settecentesco carico di ironia nei confronti della supponenza efficientista e arrogante della political arithmetic: il Mandeville della Modesta difesa delle pubbliche case di piacere, o meglio ancora lo Swift della Modest Proposal, con il suggerimento di risolvere il problema della fame delle famiglie d'Irlanda con la trasformazione in cibo dei figli bastardi. Là il problema dell'incremento demografico a fronte della fissità delle risorse, qui il fenomeno opposto di un drammatico decremento demografico giudicato irreversibile: con la proposta - seria, temo - di uno "spopolamento organizzato", di una eutanasia programmata, luciferinamente razionale. Soluzione ideale? Intervenire col bisturi, disgiungendo: che finalmente si separino montagna e montanari; che i montanari residui vengano fatti arretrare con decisione sulla linea di pedemontana, a Cividale e dintorni, così da ricavarne quel che ancora si può di utile e garantire servizi altrimenti impossibili; che l'ambiente così liberato dalle servitù di una comunità umana comunque segnata, venga riorganizzato in funzione del bisogno di natura e del loisir cittadino: paesi che si fanno villaggio turistico, l'ambiente che si trasforma in parco, e quant'altro.
Si capisce la reazione preoccupata, fra gli abitanti delle Valli, di quanti pur sottoscrivendo la crudezza dell'analisi e le imputazioni di colpa, si battevano perché i paesi delle Valli continuassero a esistere e fiorire. Nella trascrizione del dibattito udinese di quell'inverno del Sessantotto, le righe più belle che leggo sono di Paolo Petricig: là dove, giocando sul filo dell'ironia, afferma che quello di Nimis era sì "un importante contributo", ma solo "fino alla penultima pagina".
A ben pensare, quattro decenni dopo la situazione non è molto cambiata, almeno in termini di dibattito. In mezzo restano le foto, a testimoniare la perdurante gravità dei problemi e il difficile processo che dovrebbe permettere di tenere i piedi nella modernità senza trovarsi spinti ancora di più verso i margini; su un lato continua a collocarsi lo sguardo lucido e impietoso dell'efficientismo economico e tecnico esterno (con i piedi ben saldi nella palude della indecisione politica); sull'altro resta lo "sguardo interno" altrettanto lucido, ma pietoso, di chi non è disponibile a procedere per disgiunzioni, ma crede invece e chiede maggior attenzione alle correlazioni fra i tanti fattori in gioco. Non si tratta soltanto di tabelle, elenchi di dati, numeri; ma persone, relazioni fra persone all'interno delle comunità e fra comunità e ambiente, memorie, paesaggio, saperi, narrazioni, lingua, musica, arte, inventiva, sapori, sensibilità religiosa, e tanto altro ancora.
Mutata è la situazione di contesto più larga. Chiudendo il bel volume del 2001, edito per sua cura dalla Cooperativa Lipa (Valli del Natisone - Nediške doline), dedicato proprio a una riproposta globale della storia e cultura della Valli nel segno del rifiuto delle disgiunzioni e dell'attenzione invece ai legami, ancora Paolo Petricig richiamava le novità più significative. Se l'episodio del '68 si collocava dentro un quadro incorniciato dalle speranze e dai progetti (e dalle illusioni) maturati a seguito dell'istituzione dell'autonomia regionale, ora si tratta di pensare e progettare avendo alle spalle il Trattato di Osimo e gli atti che seguirono, le normative sulle minoranze linguistiche, il terremoto del '76 e la ricostruzione, la caduta del muro di Berlino, l'indipendenza della Slovenia e il suo ingresso nell'Unione Europea. Tutte opportunità nuove e "congiuntive". Se alle spalle delle Valli c'è una storia segnata dall'incombere del confine, ora alla gente delle Valli è chiesto di pensarsi in modo nuovo, in assenza di confine. Una bella scommessa.
Intanto, come per il fotoreportage di Toffoletti, la sfida ai diversi livelli del "Vietato fotografare" e il bisogno di dar senso alle immagini attraverso il dialogo con le persone ha segnato in questi anni anche il percorso dell'antropologia alpina e della miglior geografia umana. A dare significato alla ricerca e a dare altra leggibilità ai documenti che ne derivano è ora un atteggiamento nuovo, che Mauro Pascolini, proprio in riferimento alle Nediške doline, sintetizza bene così: "Si è soliti sempre risalire le valli, percorrendo a ritroso il territorio, privilegiando una visione che dalla pianura si rivolge alla montagna e codificando così un atteggiamento che da sempre è stato presente e che in qualche maniera è diventato, specie negli ultimi anni, una spia della sudditanza della montagna verso la pianura, o meglio della dominanza della forza economica e talvolta culturale del piano verso il monte. Il tentativo è quello di invertire la prospettiva e quindi di leggere il territorio cercando prima di tutto di far riemergere il senso di appartenenza e di identità che i luoghi generano".
"Un rispetto deve avere anche altri di me!": l'orgogliosa affermazione colta 40 anni fa da Riccardo Toffoletti a Mersino, fra uno scatto e l'altro, resta lezione fondamentale per ognuno che voglia mettere piede da quelle parti e desideri coglierne l'anima orgogliosa.
Gian Paolo Gri, docente di Antropologia culturale all'Università di Udine
LE STELLE ALPINE
Negli anni 195O/1960 non so se qualcuno si ricorda ,le strade della Benecia (Slavia veneta) erano "abbellite"da cartelli in cui era scritto:"Vietato fotografare". A chi contravveniva a questo divieto venivano sequestrate e distrutte le foto e pagava un'ammenda. Tutto ciò era giustificato da motivi militari,per tutelare i confini.Io facevo le scuole elementari e non avevo mai raccolto le stelle alpine,a quei tempi non era flora protetta.
Mio padre che conosceva molto bene la Val Torre ,su mia insistenza, un giorno di settembre mi portò in montagna per ammirare ed eventualmente cogliere stelle alpine.Mi portò veramente ,perchè gran parte del tragitto lo feci sulla sua schiena.Mi ricordo che c'erano bellissimi prati,galli cedroni , pernici ed altri uccelli. Trovammo le stelle alpine che immortalammo in belle foto che io non vidi mai.
Scesi a valle salimmo in auto e dopo un po' ci fermarono i Carabinieri che chiesero i documenti ed ispezionarono l'automobile.Sequestrarono il rullino della macchina fotografica ed il fatto seguì il suo iter.Dopo un po' di mesi arrivò la notifica:condannato a pagare 5.934 L. che per quegli anni era una bella cifra.Non c'erano segreti militari nelle foto,ma solo una bambina coi fiori,ma la legge era la legge ed andava rispettata.Fu un episodio che non scorderò mai!
“C’era una volta un Principe che viveva sulle Dolomiti: egli aveva tutto ciò che si potesse desiderare, eppure era Infelice. Il suo unico desiderio era andare sulla Luna.
Il Principe vagava di notte tra i boschi, illuminati dai raggi lunari, pensando solo ad arrivare sin lassù.. al Regno Della Luna. Una notte, sulla cima di una roccia incontrò 2 vecchietti, che confidarono al Principe di poter esaudire il suo più grande desiderio: salirono su una Nuvola e su’ verso cielo buio della Notte. Arrivarono al cospetto de Re della Luna e della Figlia : una fanciulla bellissima, con un abito bianco splendente, tessuto con i raggi Lunari.. Tra i capelli fiori, anch’ essi bianchi , Mai visti dal Principe sulla Terra: erano Fiori che crescevano solo sulla Luna. Il Principe innamoratosi della principessa la chiese in sposa e insieme fecero ritorno tra le Dolomiti. La Principessa portò con sé, come ricordo del suo amato Regno, alcuni fiori Bianchi della Luna, a Lei tanto cari, che cominciarono poi a diffondersi su tutte le Alpi e furono chiamati STELLE ALPINE .
da https://www.agordinodoverinasconoledolomiti.it/la-leggenda-della-stella-alpina/
mercoledì 22 gennaio 2025
I segreti della Polenta coi "Polentârs di Verzegnis"
" STELUTIS ALPINIS"
Leontopodium nivale subsp. alpinum (Cass.) Greuter, 2003 è una sottospecie di pianta angiosperma dicotiledone della famiglia delle Asteraceae (sottofamiglia Asteroideae). |
martedì 21 gennaio 2025
IL FRIULI VENEZIA GIULIA
lunedì 20 gennaio 2025
Starost nas na straše 2 /L' età non ci spaventa/ Beneško gledališče 2024
GIORNATA DEL RISPETTO
Il 20 gennaio sarà celebrata per la prima volta la Giornata del Rispetto, istituita con la Legge 17 maggio 2024, n. 70. Questa ricorrenza è stata introdotta per sensibilizzare docenti e alunni contro il bullismo, il cyberbullismo e ogni forma di discriminazione, ed è dedicata alla memoria di Willy Monteiro Duarte, il giovane ucciso nel 2020 per aver difeso un amico.
In vista della giornata il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha inviato una nota a tutte le istituzioni scolastiche, richiamando il ruolo centrale della scuola nell’educazione al rispetto.
"Per me quello che conta, in una persona, non è che sia ebrea o cattolica, ma che sia degna di rispetto. E sono convinta che non esistano le razze, ma i razzisti"
(Rita Levi-Montalcini)
fonte web