È una realtà a due facce quella del settore caseario e della zootecnia nelle Valli del Natisone e del Torre. Nei giorni in cui si registra la grande soddisfazione per la partecipazione di 4 eccellenze del territorio a Cheese, il più grande evento mondiale dedicato al formaggio a latte crudo svoltosi a Bra (Cuneo) dal 19 al 22 settembre, e per il grande lavoro di squadra che ha permesso questo risultato, grazie all’impegno di Dmo Benečija e Slow food travel Natisone e Torre, riecheggia purtroppo il forte allarme della Kmečka zveza per la situazione di grave difficoltà in cui sono piombate alcune aziende a causa del morbo della lingua blu che falcidia capre, pecore e bovini.
Scarsità di pascoli e di risorse umane

Alessia Berra, titolare dell’azienda agricola Zore di Taipana, alleva un centinaio di capre (razza camosciata delle Alpi) con 85 capi in mungitura e trasformazione del latte in formaggi e latticini vari e vendita diretta. Qui il morbo della lingua blu non è arrivato, ma i problemi non mancano. «Facciamo solo vendita diretta. La gente, cioè, sale fino ai nostri punti vendita di Zore di Taipana e quello stagionale a Vedronza di Lusevera per acquistare i nostri formaggi e qualche trasformato di carne. Questo è il nostro canale prevalente, completato dalla fornitura di 25 tra negozi e ristoranti in provincia di Udine. L’azienda è nata nel 2008 e negli anni sono riuscita a costruire un rapporto di fiducia con i consumatori. Il prodotto va ed è richiesto. Certo, occorre un grande sforzo comunicativo per fare capire il valore del nostro lavoro ». Quali sono gli elementi di difficoltà? «È un’impresa trovare collaboratori disposti a inserirsi in questo contesto lavorativo e in questo territorio – spiega Berra –. Le forze sono contate. Negli anni sono passate tante persone da queste parti con l’ideale del venire a lavorare in montagna e di aver a che fare con gli animali. Ma spesso questo rappresenta un generico desiderio temporaneo di fuga dalla società moderna a cui però dopo non corrisponde una scelta di vita. Ci vorrebbe maggiore connessione tra i percorsi di formazione all’agricoltura e la realtà delle nostre aziende. Non è necessario aver fatto un percorso di formazione agrario, anche se è sempre un valore aggiunto, ma è fondamentale acquisire motivazione e passione per un mestiere e un territorio. L’allevamento, come il turismo, se non ci sono persone che vivono e lavorano qui non hanno futuro».
La disponibilità di pascoli è un altro limite che impedisce la crescita delle aziende che già ci sono e la nascita di nuove: «Andrebbe ampliato il modello dell’Associazione fondiaria, come è stata fatta a Stregna – spiega Berra –. A Platischis era stato fatto un progetto di riordino fondiario con esproprio da parte del comune di terreni incolti e successivo affidamento ad aziende agricole locali, ma non è andato avanti».
Dare valore al pascolo per salvare biodiversità e paesaggio
Se da Taipana si guarda con interesse all’Associazione fondiaria (Asfo) Erbezzo di Stregna, protagonista di un progetto di successo per il recupero dei prati stabili conosciuto e apprezzato a livello nazionale, a Stregna si è capito che tutto ciò può essere vanificato dall’assenza di imprenditorialità capaci di dare valore aggiunto al pascolo. E l’unico settore capace di farlo è la lavorazione e commercializzazione di derivati di latte e carne.
I titolari di fondi in cui il bosco rischia o ha già fagocitato il prato, possono affidarlo all’Asfo che ne cura il recupero e la manutenzione e può affidarli in gestione ad aziende agricole locali. «Per i primi 5 anni la legge concede all’Associazione fondiaria dei contributi speciali per il ripristino e il mantenimento dei prati stabili – spiega il presidente, Michele Qualizza –. Trascorso il periodo iniziale si passa ai contributi ordinari per lo sfalcio, molto più bassi. Occorre quindi, in un’ottica di lungo periodo, creare a valle attività capaci di generare reddito. L’unica prospettiva credibile è proprio l’allevamento con la trasformazione di formaggi e carni».
L’Asfo, prosegue Qualizza, grazie alla stretta collaborazione con l’amministrazione comunale di Stregna, potrebbe trovare anche i locali per creare una latteria, ma «finora non abbiamo trovato un soggetto disposto a impiantare una attività del genere. In tanti, vedendo le pecore al pascolo, chiedono dove si può comprare la ricotta o altri formaggi. Ma purtroppo, per ora, se ne vanno via delusi. Senza questo sbocco rischia di incepparsi il meccanismo dell’Associazione fondiaria. Si fa sempre più fatica a trovare nuovi proprietari di fondi che voglio accedere al recupero e mantenimento del pascolo perché non ci guadagnano nulla. L’area del Kolovrat, ad esempio, presenta un centinaio di ettari adatti al pascolo, ma non si riesce a sensibilizzare i proprietari. Se ci fosse un’attività di trasformazione sarebbe possibile offrire anche dei piccoli incentivi ai proprietari per sbloccare questa situazione».
«Il nostro patrimonio è il consumatore locale, non il turista»

L’azienda agricola Corte di Soffumbergo, un’altra delle eccellenze protagonista a Cheese, è situata in pianura, a Campeglio di Faedis, al limitare delle Prealpi Giulie. Gli animali in questo caso non usano i pascoli, anche se la stalla è fatta in modo da garantire il massimo benessere animale. «Abbiamo 60 capre in produzione di latte. Siamo una piccola azienda di stampo familiare con cui riusciamo a ritagliarci tre modesti stipendi da dipendente – mia moglie Patrizia Pistor è la titolare, poi ci siamo io, Vanni Colussa e il figlio Simone, che diamo una mano. Non esistono giorni festivi e ferie».
Il grande patrimonio di queste piccole aziende sono i suoi clienti fedeli e affezionati: «Non comprare il formaggio al supermercato, ma venire da noi, implica una scelta ben precisa e motivata di gusto e genuinità, una programmazione dei tempi e degli spostamenti. Il bacino più importante per noi è il consumo di prossimità, di chi abita nel raggio di poche decine di chilometri – spiega Colussa –. Dotarsi di una logistica con la catena del freddo e della vendita online, comporterebbe forti investimenti e cambiamenti nella natura della nostra azienda. E il turista non può certo portarsi a casa un bene deperibile come il formaggio».
«Voler crescere nelle quantità sarebbe uno snaturamento»

Elisa Manig, titolare dell’omonima azienda di Tiglio (San Pietro al Natisone), 45 capi di cui 18 in lattazione, rifiuta la logica del voler crescere a tutti i costi. «Qui nella valle del Natisone, nei comuni di San Pietro e Pulfero, abbiamo raggiunto il livello di saturazione per l’attività zootecnica – ci spiega –. Recuperare altro pascolo strappandolo al bosco sarebbe troppo oneroso. Ristrutturata la vecchia stalla dei miei nonni non saprei dove mettere nuovi capi di bestiame, i macchinari dopo il Covid costano un occhio della testa, la manodopera non si trova… Abbiamo una clientela qualificata che sa quello che cerca in termini di qualità, un’offerta variegata di formaggi vaccini e caprini, tutto quel che trasformiamo lo riusciamo a vendere… Con Slow food travel e Dmo Benečija si è creata una rete di persone capaci di promuovere la nostra qualità e il nostro territorio anche quando siamo impegnati nei nostri caseifici. Inutile rincorrere altre chimere che rischiano solo di snaturarci e di appiattirci alla produzione di massa».
C’è chi investe e realizza il sogno di diventare pastore e casaro

«Sono originario di San Giovanni al Natisone e mi sono innamorato delle Valli del Natisone fin da quando ci venivo da bambino con mio papà. Oggi, dopo una vita di lavoro all’estero nel settore della sedia, realizzo il mio sogno». Franco Plaino, 58 anni, da qualche mese ha aperto ad Altana di San Leonardo l’azienda agricola Val Furlane con annesso caseificio e reparto di lavorazione delle carni. «Dopo due anni di lavori finalmente siamo operativi – spiega Plaino –. Sono nato in un ambiente agricolo dove il rapporto con gli animali era quotidiano. Sei anni fa ho comprato le prime sei capre camosciate per pulire i prati, il bosco e i castagneti e ho cominciato a fare il primo formaggio. Ora ho un gregge di 97 capre camosciate, 50 in mungitura, che vivono allo stato brado, senza stalla. Dalle 6 di mattina alle 22 di sera l’impegno è per l’azienda. Questo territorio è straordinario. Le analisi sul latte delle nostre capre evidenzia valori nutritivi e di gusto eccezionali. Produciamo sia formaggi a latte crudo che pastorizzato e anche salame di capra. All’inizio è dura farsi conoscere, ma vediamo che la gente apprezza e fortunatamente, con il santuario di Castelmonte, siamo in una zona di passaggio. Vengono da Trieste, Gorizia e anche dal Veneto. Se un prodotto è buono, le voci girano veloci».
Il primo terreno è stato acquistato. «Mettere insieme 7 ettari di pascolo non è stato difficile – sottolinea Plaino –. Anzi ora in tanti mi chiedono di occuparmi della manutenzione dei loro terreni. Non avevamo grandi capitali, siamo partiti con i contributi pubblici». Dunque, se i problemi non mancano, ci sono anche le opportunità. Insomma, «si può fare». (Roberto Pensa)
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