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lunedì 4 novembre 2024

proverbio friulano


 Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei campi
“Ploe che sune ‘e mene bon timp” letteralmente: pioggia che “suona”, pioggia rumorosa, dalla gocce grosse, porta buon tempo.

domenica 3 novembre 2024

CAPPELLO PIERLUIGI


 Pierluigi Cappello (Gemona del Friuli8 agosto 1967 – Cassacco1º ottobre 2017) è stato un poeta italiano.[1] Scrisse numerose opere in lingua italiana e in lingua friulana, rientrando nell'omonima letteratura. Fu il vincitore del Premio Viareggio-Rèpaci 2010 per la poesia[2] con Mandate a dire all'imperatoreCrocetti Editore.Pierluigi Cappello nasce a Gemona del Friuli nel 1967, ma è originario di Chiusaforte, dove trascorre l'infanzia.

Cappello e la sua famiglia furono vittime del terremoto di magnitudo 6.5 che colpì il Friuli il 6 maggio 1976. All'età di sedici anni subì un tragico incidente in moto, che lo lasciò permanentemente confinato su una sedia a rotelle. Qualche tempo dopo la famiglia si trasferì nella cittadina di Tricesimo (Udine). Per una maggiore autonomia di vita, Cappello poi si trasferì in una casa prefabbricata di proprietà del Comune, tra quelle fornite dall'Austria nel post-terremoto; lì Cappello visse per la maggior parte della sua vita. Negli ultimi anni si trasferì a Cassacco (Udine) in una casa vera adatta alle sue necessità.

Dopo aver compiuto gli studi superiori a Udine presso la Sezione di Aeronautica dell'Istituto Tecnico Industriale Arturo Malignani, frequenta la facoltà di Lettere presso l'Università di Trieste, senza tuttavia concludere il corso di studi. Nel 1999, assieme a Ivan Crico, fonda e dirige per diverso tempo La barca di Babele, una collana di poesie edita dal Circolo Culturale di Meduno, che accoglie autori noti dell'area friulana, veneta e triestina. Vive per molti anni a Tricesimo (Udine) e successivamente a Cassacco, dove scrive e dove lo si vede impegnato in un'intensa attività artistica e di diffusione della cultura anche nelle scuole e all'università. Varie e significative sono le iniziative culturali promosse in Friuli anche grazie a questo poeta, legate principalmente alla poesia e al teatro.

Nel 2006 include la quasi totalità delle proprie poesie in Assetto di volo, a cura di Anna De Simone, con introduzione di Giovanni Tesio, Crocetti Editore, Milano. Per questo libro vince il Premio Nazionale Letterario Pisa;[3] il Premio Bagutta 2007 sezione Opera Prima, il Superpremio San Pellegrino 2007, il Premio Speciale della Giuria "Lagoverde 2010".

Nel 2010 pubblica una nuova silloge poetica, Mandate a dire all'imperatore, con postfazione di Eraldo Affinati, per i tipi di Crocetti Editore, Milano 2010.

Sue poesie sono apparse sulle seguenti riviste e antologie: «Caffè Michelangiolo», «clanDestino», «Diverse Lingue», «La Battana»,«Poesia», «Tratti»; «Il pensiero dominante», a cura di F. Loi e D. Rondoni, Garzanti, Milano 2000; Fiorita periferia. Itinerari nella nuova poesia in friulano, a cura di G. Vit e G. Zoppelli Campanotto Editore, Udine 2002; Tanche giaiutis (Come averle). La poesia friulana da Pasolini ai nostri giorni, a cura e con un saggio introduttivo di A. Giacomini, Associazione Colonos, Lestizza (Ud) 2003; La stella polare. Poeti italiani dei tempi “ultimi”, a cura di Davide Brullo, Città Nuova Editrice, Roma 2008. “Mandate a dire all'imperatore”, in “Poesia”, Anno XXII, marzo 2009, N. 236, pp. 17–22.

Pubblicò, riunite in volume, anche prose liriche comparse precedentemente su riviste, libri, monografie di poeti, col titolo «Il dio del mare», Lineadaria Editore, Biella 2008. Sulla sua poesia hanno scritto, tra gli altri, Giovanni Tesio, che è l'autore di gran parte delle prefazioni ai suoi libri, Anna De Simone, Amedeo Giacomini, Alessandro Fo, Franco Loi, Mario Turello e Gian Mario Villalta.

Nel 2014 Cappello venne nominato beneficiario della Legge Bacchelli, una garanzia di sostegno finanziario a vita da parte del governo italiano e destinato agli artisti di merito.

Cappello è mancato il 1 ottobre 2017 nella sua casa di Cassacco dopo una lunga malattia.

da wikipedia

Interno giorno

Per dire che cosa mi tengo
per dire che cosa, leggendo
uno spartito che trattenga il cielo
alto, sempre alto, per ogni pagina ascoltata
dentro il fumo
dentro ogni gola pietrificata
qui, dove non volevo
dentro il rumore di prima
il rumore di dopo
dove sempre ci si ritrova
quanto un vento, un contorno
dopo che non si è capito
e qualcosa come uno stormo si stacca
in fuga dall’incendio
una nota, dai vetri, una voce
il breve sussurrare dei poeti.


Assetto di volo
 (Crocetti, 2006)

dal web

Svete Višarje,Mont Sante , Luschariberg


 Il Monte Santo di Lussari (AFI: /lusˈsari/[1]; 1 790 m s.l.m.Svete Višarje, "Le sante alture" in slovenoMont Sante di Lussari in friulano e Luschariberg in tedesco) è una montagna delle Alpi Giulie, posta nel territorio del comune di Tarvisio (UD), a sud della frazione di Camporosso.

Il monte fa parte della Catena Jôf Fuârt-Montasio: non è una delle maggiori cime delle Alpi Giulie, ma deve la sua fama principalmente al convento sorto nel XVI secolo in cima al monte, con le costruzioni attorno al santuario realizzate in tipico stile carinziano in linea con quelle diffuse nella sottostante Val Canale. Considerato il balcone delle Alpi Giulie, dalla sua sommità si gode un ampio panorama sulla conca del tarvisiano e sulle alture circostanti, quali le Caravanche a nord, i gruppi del Mangart ad est e del Jôf di Montasio a sud e dalla cima dipartono diversi sentieri, il più noto dei quali è quello che porta alla vicina Cima del Cacciatore a 2 071 m s.l.m..

Santuario

La prima cappella, della quale non rimane più traccia, venne costruita nel 1360 nel luogo ove secondo la tradizione venne ritrovata una statuetta della Madonna col Bambino. L'attuale chiesa risale invece al periodo tra 1500 e 1600. Nel corso dei secoli ha subito alcuni danneggiamenti: nel 1807 venne colpita da un fulmine e nel 1915 venne bombardata, ma venne sempre ricostruita. Nell'anno 2000, in occasione del Giubileo, la chiesa è stata completamente ristrutturata e rinnovata. La chiesa è chiamata anche "dei tre popoli", in quanto è luogo di pellegrinaggio per le genti di tutte e tre le stirpi linguistiche confinanti: quella germanica (col tedesco), quella romanza (con friulano e italiano) e quella slava (con lo sloveno).

Stazione sciistica

Il Lussari è anche una stazione sciistica, raggiungibile con la telecabina che porta gli sciatori, da dicembre ad aprile, a cimentarsi sulle svariate piste da sci che sorgono sui fianchi del monte, quali la Di Prampero (con una lunghezza di 3 920 m e un dislivello di 940 m) e la Alpe Limerza. Questa pista, oltre che essere stata teatro di numerose gare di sci valevoli per la Coppa Europa, ha ospitato la Coppa del Mondo di sci alpino femminile nel 2007, nel 2009, e il 5 e 6 marzo 2011.

Telecabina

Dalla frazione di Camporosso, a 805 m s.l.m. parte una moderna telecabina che, con una lunghezza di 3 070 m e una portata di 1 880 persone/ora, porta in poco più di 15 minuti a quota 1 760 m, ai piedi del borgo abitato e all'inizio delle piste da sci.

Proverbio friulano

 


Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei campi
“Ai Muarts par ogni von pan su la taule lûs sul porton” si riferisce all’usanza contadina che per la notte dei morti si soleva lasciare del pane sulla tavola e accendere la luce al portone, così i vecchi (von) potevano rifocillarsi con il pane sulla tavola e orientarsi con la luce accesa al portone.

Buona domenica


 Santuario di monte Lussari

sabato 2 novembre 2024

PIER PAOLO PASOLINI

 


Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922  Ostia, 2 novembre 1975[1][2]) è stato un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo italiano, considerato tra i maggiori intellettuali italiani del Novecento.[3][4][5][6] Culturalmente versatile, si distinse in numerosi campi, lasciando contributi anche come pittore, romanziere, linguista, traduttore e saggista.[7]

Attento osservatore dei cambiamenti della società italiana dal secondo dopoguerra sino alla metà degli anni settanta, nonché figura a tratti controversa, suscitò spesso forti polemiche e accesi dibattiti per la radicalità dei suoi giudizi, assai critici nei riguardi delle abitudini borghesi e della società dei consumi allora nascente in Italia (in tal senso definì i membri della borghesia italiana "bruti stupidi automi adoratori di feticci"), così come anche nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti (definì questi ultimi "figli di papà" e il Sessantotto un evidente episodio di "sacro teppismo di eletta tradizione risorgimentale"). Il suo rapporto con la propria omosessualità fu al centro del suo personaggio pubblico.[8]


Supplica a mia madre

È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

********************   



venerdì 1 novembre 2024

Campo di concentramento di Gonars


 Il campo di concentramento di Gonars è stato un campo di concentramento realizzato dal regime fascista nell'autunno del 1941 presso Gonars, in provincia di Udine, e utilizzato per internare i civili rastrellati nei territori occupati dall'esercito italiano nell'allora Jugoslavia.

Il campo di Gonars, costruito appena fuori dall'omonimo abitato in un terreno lungo la Napoleonica, era costituito da due recinti distinti a circa un chilometro uno dall'altro, il campo A e il campo B, il quale a sua volta era diviso in tre settori, Alfa, Beta e Gamma. Era circondato da un alto filo spinato, con torrette di guardia con mitragliatrici e potenti fari che lo illuminavano a giorno.

Il campo era stato costruito nell'autunno del 1941 in previsione dell'arrivo di prigionieri di guerra russi, ma non fu mai utilizzato per questo scopo.[2] Nella primavera del 1942 invece fu destinato all'internamento dei civili all'interno della “Provincia di Lubiana”, rastrellati dall'esercito italiano in applicazione della Circolare 3C del generale Roatta, comandante della 2ª Armata, nella quale si stabilivano le misure repressive da attuare nei territori occupati e annessi dall'Italia.[3

Le due massime autorità civili e militari della Provincia di Lubiana, l'Alto Commissario Emilio Grazioli e il generale Mario Robotti, comandante dell'XI Corpo d'armata, attuarono le misure repressive: così ci furono fucilazioni di ostaggi, incendi di villaggi e deportazioni di popolazioni intere. Nella notte tra il 22 e il 23 febbraio del 1942 la città di Lubiana fu circondata interamente da filo spinato, tutti i maschi adulti furono arrestati, sottoposti a controlli e la gran parte di essi destinati all'internamento. In breve anche le altre città della "provincia" subirono la stessa sorte.[3]

Gli arrestati furono portati nel campo di concentramento di Gonars, dove nell'estate del 1942 erano presenti già più di 6000 internati, ben oltre le possibilità ricettive del campo, che era allestito per meno di 3000 persone.[5] A causa del sovraffollamento, delle precarie condizioni igieniche e della cattiva alimentazione, ben presto si diffusero varie malattie, come la dissenteria, che cominciarono a mietere le prime vittime.[6][7]

In questo primo periodo nel campo si trovarono concentrati intellettuali, insegnanti, studenti, operai e artigiani; quindi tutti coloro che erano considerati potenziali oppositori e tra essi c'erano anche molti artisti che alla detenzione nel campo hanno dedicato molte delle loro opere. Sotto pseudonimo erano internati anche esponenti del Fronte di Liberazione sloveno, che sarebbero poi diventati dirigenti della Resistenza jugoslava.[6] Alcuni di essi nell'agosto del 1942 organizzarono una fuga dal campo, scavando una lunga galleria sotto la baracca XXII.[8] Dopo la fuga, la gran parte degli internati fu trasferita in altri campi che nel frattempo erano stati istituiti in Italia, in particolare a Monigo, a Chiesanuova e a Renicci nonché a Visco, in provincia di Udine, a pochi chilometri da Gonars.[2]

Il campo di Gonars si riempì ben presto di un nuovo tipo di internati: uomini, donne, vecchi e bambini rastrellati dai paesi del Gorski Kotar, la regione montuosa a nord-est di Fiume, e prima deportati a Kampor, nell'isola di Arbe. Qui nel luglio del 1942 il generale Mario Roatta aveva predisposto l'istituzione di un immenso campo di concentramento, destinato ad essere una delle tappe della "bonifica etnica"[9][10][11][12] programmata dal regime nei territori jugoslavi occupati. Nell'estate del 1942 furono internati ad Arbe oltre 10.000 sloveni e croati, in condizioni di vita spaventose, in tende logore, senza servizi igienici né cucine. Infatti i campi di concentramento per jugoslavi erano organizzati dai comandanti dell'esercito italiano secondo il principio espresso dal generale Gastone Gambara: "Campo di concentramento non è campo di ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo".[6]

Ben presto la mortalità ad Arbe raggiunse livelli altissimi e il generale Roatta decise di trasferire donne, vecchi e bambini a Gonars, dove, nell'autunno-inverno 1942-43, arrivarono migliaia di persone in condizioni di debilitazione estrema. Così, nonostante l'impegno umano di alcuni degli ufficiali e soldati del contingente di guardia, come il medico Mario Cordaro, nel campo di Gonars oltre 500 persone morirono di fame e di malattie. Almeno 70 erano bambini di meno di un anno, nati e morti in campo di concentramento. Dopo l'otto settembre del 1943 il campo venne occupato dalle truppe tedesche che costruirono in fretta e furia (grazie all'Organizzazione Todt e ai prigionieri) un raccordo ferroviario che dalla località Friulana Gas di Basiliano (linea ferroviaria Udine-Venezia) raggiunse il lager con ben tre ponti provvisori militari sul fiume Cormor. Il campo fu demolito e chiuso con la liberazione da parte degli Alleati.

da wikipedia


proverbio friulano

 Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei campi
“Ai Muarts par ogni von pan su la taule lûs sul porton” si riferisce all’usanza contadina che per la notte dei morti si soleva lasciare del pane sulla tavola e accendere la luce al portone, così i vecchi (von) potevano rifocillarsi con il pane sulla tavola e orientarsi con la luce accesa al portone.
da fb

Ognissanti e la commemorazione dei defunti in Fvg

 


Si celebra giorno 1 novembre la festa di Ognissanti, seguita dalla commemorazione dei defunti il 2 novembre. Ecco le tradizioni, le credenze e qualche piccola curiosità del nostro territorio su queste due storiche ricorrenze religiose

Ognissanti e la commemorazione dei defunti in Fvg

Novembre è alle porte ed è proprio giorno 1 che si celebra la festa cristiana di Ognissanti, seguita dalla commemorazione dei defunti il 2 novembre. Ecco qualche curiosità del nostro territorio su queste due ricorrenze religiose.

Le credenze in Friuli Venezia Giulia

Come si legge su blog di Aldo Rossi, dedicato, fra le altre cose, alle notizie dalla Carnia e dal Friuli Venezia Giulia, nel Friuli di un tempo era credenza diffusa che la sera di Ognissanti e la notte dei Morti le anime andassero a visitare le case “vagando per i corridoi, intrufolandosi negli angoli, soggiornando in quei luoghi che erano stati più cari in vita”.

Dopo queste visite le anime erano solite a raccogliersi nel corteo dei morti anche detto la “danza dei muarz” e insieme raggiungevano il camposanto, scomparendo tra i tumuli. Un altro carattere tipico era il “fuc voladi“, ovvero l’anima senza pace di un defunto desiderosa di essere liberata con le preghiere. A tal riguardo, in Friuli Venezia Giulia, si credeva che chi era talmente sfortunato di incappare in uno di questi tristi spiriti ne sarebbe stato perseguitato per il resto della sua esistenza.

Le tradizioni in Friuli Venezia Giulia

Il folclore regionale riguardo a queste due ricorrenze storiche ha conservato aspetti che riportano ad antichi riti pagani; in particolare al Capodanno celtico con cui condivide il rispetto e l’ospitalità nei confronti delle anime dei defunti. Mescolando cucina e tradizione, diffusa era anche la pratica per cui ogni famiglia nel giorno di Ognissanti dispensasse al popolo una quantità di pane a seconda della propria agiatezza. 

Ognissanti e la commemorazione dei defunti in Fvg

„Il cibo, simbolo di vita, elargito in nome dei defunti, veniva ricambiato con preghiere a suffragio della vita eterna. A Trieste, ma anche Gorizia e Udine, veniva largamente consumata la fava (legume) in minestra il giorno della commemorazione dei defunti. Inoltre, era tradizione preparare biscotti per i santi e per i defunti e le tipiche favette.“

Da un mio vecchio blog


UN'ECCELENZA FRIULANA

Franco Della Negra ha incontrato il Presidente della Repubblica per ricevere la nomina di Alfiere della Repubblica. Lo studente, 19 anni compiuti da pochi giorni è residente a Majano. Il 19enne si è diplomato con lode al Liceo scientifico G. Marinelli di Udine, dopo aver ottenuto la media del 10 nell'ultimo quadriennio.  Dopo la maturità ha scelto la facoltà di informatica per proseguire gli studi. Si è iscritto alla Sapienza di Roma ed è stato ammesso al collegio universitario dei Cavalieri del Lavoro “Lamaro Pozzani

Studente del Marinelli nominato da Mattarella "Alfiere del lavoro"
https://www.udinetoday.it/scuola/franco-della-negra-alfiere-repubblica.html
© UdineToday

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